Anno 1 Numero 01 Del 7 - 1 - 2008
Dichiarazione d'indipendenza
Editoriale

Gian Maria Tosatti
 
Eccola davanti ai nostri occhi questa generazione senza manifesti. Non spiega. Cerca di capire. Non chiede regole o poltrone, ma libertà d’azione, elasticità. Bisognerebbe proprio essere ciechi per collocarla nella scia di risacche dell’ondata d’Ivrea e per non capire che questo è un passaggio epocale.
Ma niente manifesti. Né tiritere sbrodolate una volta di più né programmi in cinque punti. Una parola però sì, una sola parola, ambigua, usurata, deviata. Una parola che è da una parte un’etichetta necessariamente odiosa e dall’altra una radicale dichiarazione d’identità. Nelle riunioni di artisti, nei corridoi delle istituzioni stessa la necessità di capire che cosa s’intenda davvero per: indipendente.

Oggi sulla scia di questa parola nasce una rivista di cultura. In Italia. (primo ossimoro) Una rivista indipendente la cui pubblicazione è garantita dalle istituzioni. (secondo ossimoro). Una redazione di giornalisti “liberati” si riunisce per fare qualcosa che forse oggi non ha davvero nessun rapporto ragionevole con la realtà. E allora proprio in virtù di ciò forse possiamo dare dal di dentro una definizione sufficientemente chiara di cosa s’intenda per “indipendente”.
E’ indipendente tutto ciò che esiste sulla base di uno stato di necessità. Tutto quello che è inatteso perché non è il risultato delle regole del gioco. Tutto quello che ha consapevolezza della mutevolezza del tempo e delle circostanze e che dunque non considera vincolanti le estetiche dominanti, i poteri politici dominanti, i mercati dominanti e tutte queste cose che passano. Indipendente è chi ci prova con l’infinita grazia di chi mette in campo l’intuizione e non la sapienza, chi rischia di brillare e rischia di fallire. Senza scuse.

Tale condizione, tuttavia, nell’Italia di oggi, ha una radice che è assai più forte di una definizione. Essa regge la propria autorevolezza sui risultati di anni di lavoro compiuto al di fuori dei regolamenti, dei bandi, del Fus. Insomma, appunto, di tutto quello che è passato, che oggi non è più attuale. Il bastimento ministeriale, dopo decenni di inadeguato servizio, va alla deriva e cosa resta? Appunto gli indipendenti, che navigavano seguendo altre rotte e che si sono ritrovati più lontano, con in mano sistemi più agili e funzionali. Sistemi aperti, come è d’obbligo per la generazione che ragiona secondo la logica dell’open source e che costruisce modelli dalle infinite possibilità d’evoluzione.
Se con questo s’intende la parola indipendente allora è proprio il concetto di dipendenza ad entrare in crisi. Niente è più indispensabile. I rapporti sfuggono alla tirannia delle economie. L’abbattimento dei costi del cinema digitale, la distribuzione secondo youtube, l’autoreddito possibile nei nuovi centri di produzione culturale, le pratiche europee di riuso temporaneo di edifici abbandonati. In questo quadro la posizione dominante è occupata dai contenuti e dal loro valore. Il resto è collaborazione, tra realtà che coscientemente decidono di partecipare al rafforzamento di certi impatti.

La questione dunque non ha a che fare solo con una parola ambigua, usurata, con una etichetta forzata. Il tema che si pone è di ordine sociologico ed è la semplice declinazione di un’equazione che funziona. Il passaggio dunque è epocale. La variabile è stata trovata. Ora si deve applicarla e quello che bisogna capire è se le istituzioni che sovrintendono la cultura di questo paese e che in questi mesi stanno ridefinendo profondamente gli assetti legislativi e organizzativi nelle diverse materie, vorranno inserirla nel loro sistema (come già alcuni enti territoriali hanno iniziato a fare) o vorranno far finta di niente sottoponendo la società all’ennesima prova di forza

E’ qui, a questo punto, che comincia la nostra avventura. Una rivista di cultura per leggere le fasi di questo passaggio, per osservare le cose partendo dalle cause e non dagli effetti, dai piani sociologici da cui ogni mossa dello scacchiere ha origine. Non parleremo di cinema, di teatro, di arte, di danza, di letteratura. Parleremo delle giornate che cadono dai nostri calendari appesi a casa, piegati sulla scrivania dell’ufficio, scritti vicino al numero di pagina del quotidiano che stiamo leggendo. Tutti i lunedì lo faremo creando contesti chiari in cui le voci degli artisti, di chi si allena a guardare le cose a due o tre livelli più a fondo, non si lancino come fendenti sull’esistente, ma s’intreccino fino a far emergere il profilo che sottende.
Il nostro obiettivo dichiarato è fare la differenza.