Anno 1 Numero 02 Del 14 - 1 - 2008
Le montagne dell'anima
Editoriale

Gian Maria Tosatti
 
Proviamo a ribaltare il problema. E’ Zygmunt Bauman che ci conduce nella città di Leonia, una delle invisibili fantasticate da Calvino. Se interrogati, gli abitanti di questa città direbbero che la loro passione è «godere delle cose nuove diverse». E, infatti, come ricorda Bauman ogni mattina i leoniani estraggono nuove vestaglie dal cellophane, prendono dai loro frigoriferi ultimo modello lattine usa e getta e così via. Ma nello stesso momento, mentre si consuma questa esperienza eccitante di consumo, nelle strade «i resti della Leonia d’ieri aspettano il carro dello spazzaturaio» e l’evoluzione dei leoniani procede parallela con la costituzione di una muraglia indistruttibile di rifiuti che cinge la città in una stretta minacciosa che continua a crescere fino a diventare una vera e propria catena montuosa sovrastante da cui sempre più spesso si levano folate di vento fetido che ammorba in un attimo i negozi sfavillanti, le case con tutti i comfort… «Quando succede, - ci dice Bauman – i cittadini non possono più distogliere lo sguardo; non possono fare altro che guardare nervosamente le montagne, con timore e tremore, e restare inorriditi da ciò che vedono. Probabilmente ne aborriranno la bruttezza e le odieranno perché imbrattano il paesaggio, perché sono sudice, disgustose, dannose e assolutamente ributtanti, perché covano pericoli a loro noti e pericoli diversi da quelli che conoscevano, perché accumulano i rischi visibili e quelli che loro non possono neppure ipotizzare. Ai leoniani non piacerà quello che avranno visto, e non vorranno guardarlo più. Odieranno i rimasugli delle loro fantasticherie di ieri con lo stesso fervore con cui un tempo amavano i loro vestiti nuovi di zecca e i loro giocattoli appena usciti. Cercheranno di esorcizzare le montagne, e vorranno che scompaiano: che siano fatte saltare con la dinamite, frantumate, polverizzate o dissolte. Reclameranno contro l’indolenza degli spazzini, la clemenza dei capisquadra e la compiacenza dei dirigenti. Più degli avanzi stessi, i leoniani non sopporteranno l’idea della loro indistruttibilità. E, sperando nell’impossibile, non intenderanno la semplice verità che gli esecrabili cumuli di rifiuti possono non esistere solo se non sono stati prima creati (da loro, i leoniani stessi!).».

Eccoci qui. Insomma il quadro pare assai attuale. E se è stato possibile parlarne qualche decennio fa con tanta lucidità non vuol certo dire che Calvino avesse doti profetiche. E’ vero piuttosto che il problema della nostra attualità non è un problema “attuale”, ma “contemporaneo”. Non è cronaca, ma sociologia. In questi giorni la spazzatura non si è moltiplicata esponenzialmente come sembra, ha solo invaso le nostre case con folate malsane entrate dalle nostre finestre aperte sul mondo: le televisioni, i giornali. Si cerca la colpa confondendo sistematicamente le cause con gli effetti. La colpa è della camorra, dice qualcuno, la colpa è del governo, per qualcun altro. Ma la camorra è imbattibile e il governo sembra ormai a prova di spallata. C’è allora chi tenta il rovesciamento di un pesce più alla portata, un Bassolino o una Iervolino, senza sperare nulla se non nella soddisfazione di scartare un politico nuovo (o che sembra nuovo). L’approccio consumistico resta lo stesso, si continua a mangiare e a defecare ciò che non ci resiste con puntuale e cieca voracità, senza accorgersi che appunto la colpa è di chi cerca la colpa. Le montagne di “monnezza”, se le guardiamo bene, ci somigliano. Se andiamo a frugare troviamo la storia analitica di sessant’anni d’Italia e di italiani. C’è il mio frigorifero di ieri, c’è il mio dvd usa e getta, ci sono le lattine di pomodori pelati con cui ho fatto il sugo, e c’è pure il componente cancerogeno per la raffinazione della benzina della mia macchina. Se guardo dento la “monnezza” ci trovo tutta la mia vita, responsabilità comprese. E’ la "monnezza" che mi inchioda. La “monnezza” è il backup del mio sistema.