Anno 3 Numero 03 - 01.03.2011 |
Anno 1 Numero 02 Del 14 - 1 - 2008 |
Raccontare la verità |
Excursus settimanale sul teatro delle scorie |
Mariateresa Surianello |
A Roma, nel rione Testaccio, c’è una collinetta, il Monte dei Cocci, che testimonia quanto l’umana attività modifichi la morfologia del territorio. Lì sono gli innumerevoli e innocui strati di anfore, marmi e detriti vari del porto fluviale di Ripa Grande a raccontare secoli di vivacità commerciale della caput mundi, il suo bisogno di derrate alimentari e mercanzie d’ogni genere che da Ostia risalivano il Tevere fino al cuore dell’impero. Un’immagine bucolica per questa discarica ante litteram inconciliabile con le montagne di immondizia vomitate finalmente nelle case degli italiani dai teleschermi. Abbandonata l’“emergenza” sicurezza e la sequela di morbose notizie di cronaca nera, da qualche giorno, merito forse della natività di Gesù Cristo, anche i telegiornali si accorgono delle tonnellate di rifiuti campani e li sbattono in apertura di sommario. Ma con molta moderazione. Si produce infatti un sorprendente alleggerimento dell’agenda, quasi fosse questo cumulo di spazzatura il naturale contrappasso per l’impennata di consumi natalizi, alla quale siamo chiamati tutti a partecipare in questo vortice capitalistico che Guy Debord ha fotografato. Come in una fiera di auto-rappresentazione rituale del sé disperso e delirante, docile e accondiscendente nella perpetuazione del consumo per apparire in solitudine. Dagli articoli di giornali, fatte salve poche eccezioni, e in particolare dalla visione dei teleschermi è come se queste montagne di putridume fossero composte solo dai cosiddetti rifiuti solidi urbani, di cittadini campani che non riescono a smaltirseli, e su questo sfondo si alimentano i siparietti dei politici che giocano a rimbalzarsi le responsabilità, tacendo sulla peggiore, la più grave, aver lasciato nelle mani della criminalità organizzata la gestione dei rifiuti. Che ci sia ora la volontà dello Stato di contrastare questa attività criminale? La nomina dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro a super commissario per questa “emergenza” dovremmo leggerla così? Certo, il suo operato per il G8 di Genova potrebbe motivare la sua presenza. Lo dica allora a ogni dichiarazione. La camorra è la protagonista assoluta di questo spettacolo. Sono i clan che per i loro traffici più redditizi hanno sparso sul territorio tonnellate di sostanze tossiche, gli scarti industriali più pericolosi provenienti dal Nord, d’Italia e anche d’Europa. E’ un problema nazionale che non può essere taciuto dai mezzi d’informazione. Da almeno un paio di decenni la parola ecomafie è entrata nel linguaggio comune e le inchieste della Magistratura si intersecano con quelle di associazioni ambientaliste. Le ricerche di Legambiente sul ciclo dei rifiuti sono servite a Ulderico Pesce per la scrittura del suo ultimo testo, Asso di monnezza, previsto in scena alla Fabbrica del vapore di Milano questa settimana e posticipato al 29 gennaio. Anche Roberto Saviano chiude il suo Gomorra riprendendo nomi, luoghi e cifre da quei documenti, che nella trasposizione teatrale di Mario Gelardi (Al Teatro di Buti il 17 gennaio, poi a Pescia il 18, alle Briciole di Parma il 19 e a Fiorenzuola il 20) diventano la parte più agile di una messinscena poco convincente, ma utile alla conoscenza delle dinamiche e dei traffici mafiosi. Insomma oggi è difficile avere dubbi sui livelli di inquinamento della Campania. Gli spettatori teatrali si trovano spesso di fronte a opere di denuncia, firmate da artisti ricercatori di verità nascoste e taciute. Temi legati alla produzione industriale pericolosa e disinvolta nello smaltimento degli scarti hanno alimentato lo sviluppo di un genere, quello di narrazione, con Marco Paolini e il suo Parlamento chimico, dove la plastica di Porto Marghera è raccontata lungo l’arco di un centinaio di anni. E Cent’anni di veleno è anche il titolo del libro di Alessandro Hellmann, recitato passo passo da Andrea Pierdicca per Il fiume rubato, la storia dell’Acna nella Val Bormida con le sue acque “color del sangue”. Alessandro Langiu, frequentatore assiduo di siti industriali altamente inquinanti della Puglia, ha debuttato con Anagrafe Lovecchio, un’indagine di parola e musica sui morti di cancro alla Enichem di Manfredonia. Sono storie colpevolmente dimenticate come quella della Sloi di Trento, che produceva il terribile piombo tetraetile. Andrea Brunello con il Teatro di Bambs l’ha riscritta a quattro mani con Michela Marelli (che ne cura anche la regia) e la porta in scena la storia di questa fabbrica col suo carico di operai impazziti e morti impiombati. Per oltre cinquant’anni nel centro di Trento si è prodotto PT, un additivo chimico che serviva a migliorare lo scoppio della benzina super, così in ogni litro di carburante bruciato andava in funo anche la salute di quegli operai. In Sloi Machine (in scena il 20 gennaio, al Teatro Cecilia Gallarani di San Giovanni in Croce, Cremona) Brunello ricostruisce il ritmo massacrante della fabbrica, la smania del profitto e i turni prolungati che non permettevano all’organismo di smaltire l’intossicazione da piombo. E quindi i ricoveri in manicomio, perché l’effetto del PT è simile a quello prodotto dall’alcol, la vita degli operai degenerava e l’impotenza era il male minore. L’attore-autore però sceglie di raccontare questa storia con toni leggeri, talvolta comici, che ne innalzano la portata tragica. E’ il vissuto di un ragazzino a travasare un quotidiano infernale fino all’epilogo esplosivo, l’incidente del 1978 che avrebbe potuto provocare migliaia di morti civili. Una catastrofe annunciata per decenni che ha lasciato sull’area dismessa della fabbrica una terra intoccabile, dove purtroppo oggi trovano rifugio ignari immigrati e senza un tetto. I padroni della Sloi non hanno avuto tempo di organizzare “la bonifica”, altrimenti quel terreno saturo di piombo tetraetile sarebbe andato dritto in qualche campagna del casertano. |