Anno 3 Numero 03 - 01.03.2011 |
Anno 1 Numero 04 Del 26 - 1 - 2008 |
Les intermittents italiens |
Prove tecniche di movimento per difendere la danza |
Mariateresa Surianello |
Un contesto che Roberto Latini descrive con schiettezza devastante e avvincente. L’eco della sua epistola di “basso livello” e zeppa di interrogativi dal libro di Graziano Graziani da poco pubblicato, Hic sunt leones, trasborda feroce – è il caso di dirlo. Rifugge speculazioni estetiche e filosofiche Latini, per adoperarsi in uno splendido, sano e naturale atto liberatorio. Il suo scritto è un estremo, appassionato e disperato, lucido ruggito proveniente da quelle zone teatrali “inesplorate” e multiformi. E questa sua disperazione luccicante evoca perfettamente la condizione di malata cronica in cui versa la danza in Italia. Danza, senza aggettivi o composti nuovi sostantivi con i quali si cerca di connotare l’arte coreutica di oggi. E come altro potrebbe essere se non contemporanea? Accanto a essa scorre il repertorio classico, da un lato, e lo sgambettamento finto ginnico, mutuato dagli strati televisivi più infimi, dall’altro. Che fatica estrapolarla dalle arti sceniche e settorializzarla. La danza. Ma nel Paese in cui sono necessarie le quote rosa, per assicurare in Parlamento un’equa presenza di donne, serve ragionare ancora per compartimenti stagni. E così sia. Dopo decenni di abbandono, a cominciare dalla formazione di spettatori e danzatori, e una diaspora continua di questi ultimi (non c’è solo la cosiddetta fuga di cervelli), la danza italiana resiste ed esiste come subcultura ribollente. Senza spazi, relegata in rassegne periodiche e spesso scombinate, fuori dalle programmazioni ordinarie di stagioni e festival, la danza, in questa fine del primo decennio del nuovo secolo, si sta organizzando e sta dando una forma e un metodo alla sua ricerca di dignità. Per la prima volta, sull’onda provocata dall’introduzione nel decreto ministeriale, che disciplina la Prosa, di un articolo che andrà a escludere la circuitazione delle produzioni indipendenti dalle stagioni degli stabili, i lavoratori della danza si sono messi alla testa di una raccolta di firme contro questa palese discriminazione (dettata, in particolare, dall’articolo 3, comma 3). La petizione al ministro dei beni e delle attività culturali, Francesco Rutelli, «è una questione di principio, la politica – afferma il coreografo Roberto Castello – se ne deve rendere conto». Un irrigidimento della norma iperprotettivo – e, tra l’altro, in contraddizione con l’interdisciplinarità prescritta dall’articolo 2 dello stesso regolamento - che potrebbe essere stato dettato dalla volontà di non “disperdere” in altri settori le risorse riservate alle stabilità. Ma al di là delle motivazioni che hanno spinto la Direzione Generale dello Spettacolo a scrivere una norma così restrittiva, ora l’unica via d’uscita è la predisposizione di una circolare correttiva (come ventilato alle delegate dei sottoscrittori la petizione ricevute al Ministero, Giovanna Velardi, Linda Di Pinto e Barbara Toma), visto che il decreto è stato pubblicato lo scorso 11 gennaio, senza le aperture, né gli emendamenti richiesti. Questo impegno della danza - degli artisti che fanno del proprio e degli altrui corpi in movimento l’elemento fondante l’opera – nelle ultime settimane non è il frutto di una reazione improvvisa di singoli individui. Da diversi mesi, coreografi, danzatori e gruppi hanno iniziato a incontrarsi, dando vita, tra le differenze, a una mobilitazione nazionale per il riconoscimento di un’identità comune. Una presa di coscienza che parte dalla critica a questo sistema degenerato e iniquo e punta alla trasformazione/creazione degli strumenti legislativi capaci di rispecchiare i reali bisogni del teatro italiano e delle sue zone migliori e più vive. Quel teatro convinto che la parola interdisciplinarità abbia senso in una pratica quotidiana di apertura all’“innovazione”. Alla nascita della prima rete, Adac Toscana (Associazione danza arti contemporanee) guidata da Roberto Castello, ne sono sopraggiunte altre undici, dal Co.R.D.I.S della Sardegna al CORE del Lazio (si sono formate reti in Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Sicilia e sono pronte anche in Trentino, Veneto, Liguria, Umbria e Puglia). I numeri sono importanti. Al tavolo nazionale, tenutosi in occasione della Giornata Mondiale della Danza, ad aprile 2007, hanno partecipato 130 realtà, tra compagnie e operatori. Tutti chiedono con una sola voce di partecipare alla stesura dell’agognata legge quadro per lo spettacolo dal vivo che, ora nuovamente, con la caduta del Governo Prodi si allontana sine die. Intanto, l’azione del tavolo nazionale ha portato alla cancellazione del limite (era prevista una quota massima del 25% di compagnie non sovvenzionate) per le ospitalità nei teatri stabili, dal decreto ministeriale che disciplina la danza. E Romina De Novellis, incaricata dal CORE, ha avviato nel Lazio una mappatura delle compagnie di produzione, per valutarne la presenza nelle programmazioni dei teatri regionali e calcolare con quante e quali risorse finanziarie producono. Un’esperienza pilota che potrebbe allargarsi a tutte le regioni. E’ forte la volontà di questo organismo di darsi una struttura forte, riconoscibile e di rappresentanza “sindacale”. All’ordine del giorno del suo prossimo incontro, ora, il 29 gennaio, il tavolo nazionale discuterà della creazione di una federazione di coreografi e danzatori presso Confesercenti. Comincia a diventare difficile non ascoltarli. |