Uno dei cartelloni didattici della mostra di Giuseppe Stampone
Uno dei cartelloni didattici della mostra di Giuseppe Stampone

Anno 1 Numero 07 Del 18 - 2 - 2008
Una nuova preistoria
Editoriale

Gian Maria Tosatti
 
Si entra nella stanza. Sì, è una classe elementare. Dei primi anni. Quelli dell’alfabetizzazione. Alle pareti sono appesi i cartelloni con i fondamenti della lingua, i codici elementari. Sui banchi lo stesso, ognuno un cartellone da approfondire, e un modellino per farne l’esperienza. E poi altri modellini, come giocattoli, sparsi su qualche mensola. Gli oggetti che non sono stati scelti, dimenticati sugli scaffali. Ma sui cartelli non c’è la A di “aquila” o la B di “bue” e sui banchi non ci sono i modellini di animali. Sui cartelli ci sono gli schemi tecnici di una bomba atomica, o di una lavatrice, sui quali però campeggiano altri nomi, descrizioni sintetiche, come “dispositivo ansiogeno” o “domestica elettrica”. E’ un’operazione linguistico-concettuale estremamente sottile quella che propone Giuseppe Stampone nella sua mostra alla Galleria Z2O di Roma (fino al 29 marzo). In entrambe quelle descrizioni c’è una intenzione di rialfabetizzazione del reale. Una operazione platonica di ridefinizione di ciò che è conosciuto per nozione semplice in un concetto complesso, ma più aderente all’essenza dell’oggetto stesso sulla base delle sue implicazioni sociologiche. Nel nome “dispositivo ansiogeno” che ridefinisce la “bomba atomica” c’è tutta la strategia di deterrence che ha tenuto sotto scacco (e sotto controllo) l’occidente per 50 anni di guerra fredda o la nuova strategia del consenso alle amministrazioni Bush basata appunto sulla minaccia (di fantomatiche armi di distruzioni di massa). Allo stesso modo nella definizione di “domestica elettrica” per quella che ci è nota come la “lavatrice” sta la sintesi della evoluzione sociale degli ultimi cinquant’anni in una piena trasversalità di classe. E poi sotto la scritta “dispositivo per la riproduzione intelligente” si indovina lo schema del preservativo, e accanto al modellino della croce latina sta scritto “strumento polivalente”. La pompa di petrolio è la “pompa per la circolazione del mondo” e così via.
Ai piedi di uno dei banchi, piccolo piccolo, un pinocchietto guarda tutto sbalordito né più e né meno del visitatore.

In questi giorni, mentre la redazione di questa rivista porta a termine il secondo numero del trittico dedicato alla politica sviluppando il tema del controllo, questo modellino in grande scala di aula scolastica in cui Stampone fa entrare il visitatore mi fa venire in mente la pedagogia, che è appunto uno dei più essenziali strumenti di controllo.
La parola ipno-pedia, chiave di volta del Mondo nuovo di Aldous Huxley è forse il termine più significativo nell’era delle comunicazioni. Pedagogia contro ignoranza. Sta qui la differenza tra le società del passato che Deleuze definisce “società disciplinari” e la moderna società del “controllo”. Lo intuiva Bertolt Brecht in una poesia poco nota, in cui profetizzava come i sacrifici e i digiuni dei genitori poveri per scolarizzare i figli servissero in realtà ad acquistare catene sotto forma di libro, a fare del male credendo di far del bene.
Con ciò non si vuole affermare certo che l’istruzione sia un male e che il sapere non renda liberi, ma si cerca di sottolineare come quella che può apparire come un’evoluzione della società altro non sia che l’evoluzione di diversi sistemi di assoggettamento. E che il totalitarismo disciplinare che ha avuto il suo apogeo nel primo trentennio del ‘900 è evoluto in un totalitarismo della informazione, o meglio delle informazioni (disponibili o messe a disposizione), secondo il pensiero di Marcuse, fino ad un totalitarismo del “controllo delle password”, come da ultimo annuncia Deleuze.
Del suo ragionamento su La società del controllo (pubblicato su “l’autre journal” nel 1990 e ora nel volume Pourparlers, ma facilmente reperibile su internet) quello che sembra maggiormente interessante perché assolutamente prossimo all’Italia di questi mesi (o anche di questi anni), è l’accenno alla crisi delle istituzioni, che secondo il filosofo francese costituirebbe il clima di preparazione alla nascita di un «nuovo regime di dominazione», che in una parola può dirsi anche “società”. «Ci troviamo in una crisi generalizzata – ci dice Deleuze - di tutti gli ambienti di reclusione, prigione, ospedale, fabbrica, scuola e famiglia. La famiglia è un "interno" in crisi come tutti gli altri interni, scolastici, professionali ecc. I ministri competenti non smettono di annunciare delle riforme ritenute necessarie. Riformare la scuola, riformare l'industria, l'ospedale, l'esercito, il carcere: ma ciascuno sa che queste istituzioni sono finite, a scadenza più o meno lunga». Eh già. Mi pare che queste parole d’ordine siano parole all’ordine del giorno in un’Italia in piena fase di transizione e nella cui mappa politico-sociale si dispongono a macchia di leopardo infiniti vuoti di potere pronti ad essere riempiti dalle «nuove forze che premono alle porte».

In uno di questi vuoti, di questi crepacci generati dall’assestamento della tettonica a zolle sociale, proprio nei giorni scorsi è finita, come ci scrive Luisa Severi in una lettera alla redazione, una delle strutture simbolo della cultura indipendente di Roma, il Rialtosantambrogio, impegnato assieme ad altri soggetti in una fitta attività di dialogo con le istituzioni e a cui senza preavviso, in apparente contrasto con lo stato di collaborazione istituzionale espresso in questi mesi con l’apertura di tavoli di concertazione o con la partecipazione a progetti del Comune o della Provincia di Roma, gli vengono apposti i sigilli.
Ma appunto le contraddizioni sono solo apparenti e la linea di coerenza è quella che ci fa intravedere Caminiti nel suo articolo pubblicato su questo numero, e che in questa direzione apre un focus concreto sullo stato della politica oggi nella prospettiva che ci proponeva Deleuze.

Pedagogia, informazione, ipno-pedia. Dallo stesso canale, quello del sapere arriva il bene e il male, la prigionia e la libertà. E’ quello che si intuisce camminando tra i banchi dell’installazione di Stampone seguendo il suo ostinato tentativo di scivolosissima rialfabetizzazione concettuale, dove sopra allo schema di una televisione sta scritto solamente “Macchina per la visione a distanza”.