Anno 1 Numero 07 Del 18 - 2 - 2008
La pecora e il pastore
Analogie nelle figure del controllo, tra chiesa e mercato

Francesco Raparelli
 
«Una religione che aspira al governo quotidiano degli uomini nella loro vita reale, col pretesto della loro salvezza e su scala mondiale: questa è la Chiesa, e non si conoscono esempi simili nella storia delle società.» (M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, Milano 2005, pag. 116). Con queste parole Foucault individua il cuore di uno dei poteri decisivi per cogliere la natura dell’occidente. In questo momento dei corsi al College – siamo nel febbraio del 1978 – Foucault cerca di definire il concetto di «governamentalità» e tenta di farlo a partire da due dispositivi specifici: il «potere pastorale» e la «ragion di stato». Per quanto il potere pastorale entri in crisi a più riprese e non coincida mai con il potere politico, per il filosofo francese è impensabile definire il modello di razionalità proprio della politica moderna senza ricorrere ad un’indagine sulla chiesa, le sue istituzioni, le sue pratiche di governo della vita.

Il potere pastorale cristiano, infatti, è figura estranea al pensiero politico greco-romano, nello stesso tempo anomalo e differente rispetto alle figure pastorali dell’antichità orientale o ebraica. Il potere del pastore è secondo Foucault – e questo qualifica aspetti decisivi delle pratiche di governo politico della modernità – è un potere che prende in carico la vita del gregge, di tutti e di ciascuno («Omnes et singolatim»). Un potere che non si limita ad imporre l’obbedienza con la forza, piuttosto un potere che individualizza, in grado di curare e di ascoltare, di dirigere (le coscienze) e di sostenere. Sostegno morale, spirituale, ma anche materiale: una cura complessiva delle singolarità e della collettività. Solo a partire dalla cura e dalla presa in carico della vita da parte del pastore si definisce il terreno dell’obbedienza e, in più, ogni istituzione della chiesa è istituzione pastorale, segnata dalla figura del pastore e del gregge.

Questo potere, spiega Foucault, si è sviluppato e raffinato tra il III e il XVIII secolo, passando per le crisi e le sommosse delle «controcondotte» e della Riforma (che ha funzionato da punto di cattura dell’esplosione virale delle «controcondotte») e funzionando poi da premessa per la dislocazione delle nuove forme di governamentalità proprie della politica e della sua razionalità. La produzione di soggettività, la cura e l’individualizzazione diventano parte delle tecnologie politiche della modernità e seguono, ci permettiamo di aggiungere, quella presa in carico della vita propria della cattura capitalistica. Il fatto, però, aggiunge Foucault, è che questo potere non è mai scomparso, non si è mai del tutto esaurito e continua a segnare la traiettoria dell’occidente.

Ciò che sembra evidente, limitandoci alle cronache di questi giorni, è che questo potere sta tornando attuale, attuale quanto l’irreversibile crisi della rappresentanza politica, attuale quanto la nuova qualità biopolitica della produzione capitalistica. Non solo la vita è parte della costituzione moderna del capitalismo (il concetto marxiano di forza lavoro in questo senso ci è estremamente utile), ma il bios diviene premessa e punto d’arrivo della produzione contemporanea. Un bios sempre vestito di relazioni linguistiche, affettive, intendiamoci, ma un bios sempre più costruito, da costruire, segnato dalla riproduzione tecnica, dalla sua possibilità come orizzonte concreto. Laddove la vita produce e viene prodotta, il governo della vita assume una nuova centralità, meglio, un senso nuovo. Ed è proprio dentro questo salto che torna prepotentemente attuale quella mossa totalitaria e nello stesso tempo universalizzante che secondo Foucualt era premessa decisiva per comprendere le tecnologie politiche della modernità. Ratzinger non è un nuovo medioevo, ma una nuova sfida pastorale nella frattura segnata dal campo biopolitico. Un sfida che si nutre non soltanto della presa in carico della vita, ma, come ci ricorda Foucault, della sua messa al bando. Scrive Foucault: «Siamo di fronte all’aspetto paradossalmente distributivo del pastorato cristiano: la necessità di salvare il tutto implica che all’occorrenza, si debba accettare di sacrificare una pecora quando questa potrebbe compromettere la totalità. La pecora che dà scandalo, la pecora corrotta che rischia di corrompere tutto il gregge, deve essere abbandonata, eventualmente esclusa, cacciata ecc.» (Ivi, pag 128). Questo paradosso distributivo, illustra bene le forme aggressive del bando cattolico contemporaneo, della nuova scena politica e mediatica che sta alimentando.

Se d’improvviso proviamo a pensare il rapporto tra mercato e controllo i problemi che ci si prensentano sono tutt’altro che risolti e illustrano un campo in via di progressiva costituzione. Chi ci ha aiutato a pensare le nuove forme di produzione e di comando in termini di controllo è senz’altro Gilles Deleuze. Nel suo Poscritto sulle società di controllo (1990) Deleuze indica l’«impresa» e il concetto di «formazione permanente» come terreni di superamento dei dispositivi disciplinari (la fabbrica e la scuola/università in particolare). L’impresa, scrive Deleuze, diventa un «gas» che eccede continuamente le perimetrazioni territoriali della fabbrica, che si disloca sul territorio metropolitano e globale in un fitto intreccio di reti lunghe e corte. Altrettanto la formazione investe la vita e la funzionalizza all’impresa, alle sue concrete mutazioni di investimento. La produzione di beni materiali diviene sempre più subordinata alla produzione i servizi e alla costituzione, sempre mobile, flessibile, di mercato. Impresa, dunque, significa nuova centralità del mercato contro il lavoro e i suoi diritti. Impresa e mercato, inoltre, sono due territori del controllo, dove si esercita una continua inclusione differenziale o disgiuntiva. Il controllo, in questo senso, assume l’aspetto di una modulazione, piuttosto che costruire individui, ne disloca e ne ricombina continuamente funzioni, risorse, relazioni, campi affettivi e produttivi.

Anche in questo caso siamo di fronte ad una scena completamente nuova, nuova anche rispetto all’analitica del potere e delle istituzioni totali proposta da Foucault. Parlare di controllo e di mercato nella società contemporanea significa parlare continuamente di catture parziali, di ricombinazione parassitaria (nel senso della valorizzazione capitalistica della cooperazione sociale diffusa) di ciò che avviene sul campo della vita e dei saperi. Uno sguardo, dunque, che ci libera da concetti tradizionali di totalitarismo, ma non per questo ci dispone su piani meno pericolosi. Dove il pericolo è più alto, però, si annidano le possibilità migliori per la libertà e le sue pratiche.