Una scena da
Una scena da
Una scena da
Una scena da

Anno 1 Numero 07 Del 17 - 2 - 2008
Stati di coercizione
La cancellazione dell’identità al centro della trilogia dei Santasangre

Mariateresa Surianello
 
E’ ancora una scatola in plexiglas a contenere l’artificio scenico di Santasangre, una trasparenza utile per la riproduzione di immagini, ma anche per marcare l’isolamento di quell’essere imbozzolato e fluttuante, e imperniato al centro dello spazio. Ultima parte della trilogia di “Studi per un Teatro Apocalittico”, Concerto per voce e musiche sintetiche si è visto in nuce alle Officine Marconi, lo scorso dicembre, nella risonante festa conclusiva del Romaeuropa Festival, e lo si vedrà il 26 febbraio, in forma di primo studio, al Teatro Nuovo di Napoli per “Transitidanza”, nell’ambito del progetto inter-regionale realizzato dall’Ente Teatrale Italiano.
Il lavoro, già nei pochi minuti della sua prima uscita, mostra l’affinamento stilistico operato dal gruppo romano nel proseguire la riflessione sulla società contemporanea, avviata nel 2005 e approdata prima a 84.06 e poi a Spettacolo sintetico per la stabilità sociale (entrambi allestiti nei primi giorni di febbraio, rispettivamente, al Teatro San Martino di Bologna e al Teatro Aldo Moro nella rassegna “Taranto non dorme” diretta da Alessandro Langiu). In assenza di riferimenti letterari diretti, con Concerto Santasangre sembra raggiungere il culmine della parabola apocalittica, declinando gli esiti di uno sviluppo insensato, le estreme conseguenze determinate dall’esaurimento delle risorse, della risorsa primaria, essenziale: l’acqua. Un tema, questo del depauperamento ambientale presente nel Mondo nuovo di Aldous Huxley, romanzo intorno al quale i Santasangre hanno ragionato per la messinscena di Spettacolo sintetico. Qui, però, l’attenzione della compagnia si concentra sulla violenza assoluta inferta all’essere umano, quella del condizionamento indotto attraverso la somministrazione di regole funzionali alla auto-rigenerazione del sistema. Null’altro di ciò che la nascente pubblicità prospettava - l’utopia romanzata di Huxley è del 1932 - ponendo le basi all’odierno regime di consumo obbligatorio. Ma la fantasia dello scrittore inglese è precorritrice dei tempi nell’immaginare una civiltà senza madri né padri, il cui mantenimento è affidato all’incubatrice di esseri umani privi di sentimenti e animati dai soli valori indotti dal condizionamento e desiderosi di compiere le sole funzioni per le quali sono stati generati. «Non c’è civiltà senza stabilità, né stabilità sociale senza stabilità individuale» – recita dal video Roberto Latini, chiamato da Santasangre per condensare la partitura vocale all’interno di un impianto sonoro, elaborato dal vivo, che è elemento fondante dell’intero allestimento, accanto ai corpi degli attori, alle scenografie, alle luci e ai video, deputati negli anni a svolgere sempre più a fondo una funzione drammaturgica. Con quelle creazioni dal vivo di ologrammi che moltiplicano i personaggi e li rendono concreti ed evanescenti allo stesso tempo.

Formazione girovaga nei primi anni 2000, legata alle arti visive e all’underground metropolitano, Santasangre trova spazio per le sue prime apparizione nelle feste illegali. Nei rave il gruppo sperimenta forme performative estreme e i linguaggi della body art, si ispira all’Azionismo Viennese e prova l’attraversamento dei confini e la rottura della carne. Ne esce Celle silenziose, il loro primo spettacolo, che coagula l’irrequietezza di ciascuno dei componenti. Poi, nel 2004, i Santasangre raggiungono la stabilità con l’ingresso nell’occupazione del basamento di un palazzone nella prima periferia Est di Roma, il Kollatino Underground. E’ qui che costruiscono il loro teatro, oggi considerato uno degli spazi culturali di riferimento per la scena indipendente non solo romana. Ed è qui al Kollatino che Santasangre porta a compimento la rilettura del Faust di Christopher Marlowe, allestimento ancora molto connesso con le manipolazioni sul corpo praticate agli esordi, comunque finalizzate al raggiungimento di un disegno drammaturgico. La virata verso la sperimentazione di linguaggi più sofisticati e anche tecnologici avviene con 84.06, che prende abbrivio dal testo di George Orwell, 1984, evocato dal titolo. A questo punto il gruppo è formato da Diana Arbib, Luca Brinchi, Maria Carmela Milano, Dario Salvagnini, Pasquale Tricoci e Roberta Zanardo, spesso con uno scambio di ruoli che mantiene però le specificità artistiche di ciascuno. Ai sei, per l’occasione, si aggiunge Stefano Cataffo, catapultato su una scena materica a subire le costrizioni e l’indottrinamento descritti nel romanzo orwelliano. Gli ologrammi affollano la scatola trasparente, dentro la quale l’attore vive il suo incubo, il controllo totale del Grande Fratello sulla sua misera esistenza. Tra monitor che sputano immagini disgustose e pesanti esercizi fisici l’attore è bloccato in una folle ripetitività, che deve cancellargli la memoria della sua storia personale e quella collettiva.

Pur non seguendo gli sviluppi narrativi del romanzo, Santasagre si dedica all’indagine della violenza e della coercizione per giungere alla massificazione dei popoli, che non sono metodi praticabili nelle società occidentali – certo, fatte le dovute eccezioni (valga l’esempio della repressione del dissenso al G8 di Genova, nel 2001). L’esatto opposto di quanto accade in Spettacolo sintetico, dove si arriva addirittura a somministrare il soma – così la chiama Huxley, che per molta parte dei suoi studi sulla coscienza ha usato mescalina, si veda Le porte della percezione e Paradiso e Inferno - per narcotizzare eventuali risvegli delle capacità critiche in individui programmati per vivere senza alcuna identità. Bella l’immagine della vasca da bagno che fa pensare a quella di deprivazione sensoriale in cui Ken Russell immerge William Hurt in Stati di allucinazione, riscrittura filmica degli esperimenti psichedelici su se stesso del neurofisiologo statunitense John Lilly. Ma andando per associazioni e per assonanze tematiche dal regista britannico dei Diavoli si ritorna a Huxley, estensore del romanzo da cui è stata tratta la sceneggiatura di quel capolavoro cinematografico con Oliver Reed e Vanessa Redgrave, che non a caso ci ricorda l’orrore generato dal potere della Chiesa. Era il XXVII secolo, certo, oggi il suo potere temporale la Chiesa lo esercita specialmente con lo IOR, l’Istituto per le Opere Religiose, riservatissima banca vaticana.