Hermann Broch
Hermann Broch
Un'immagie dello spettacolo di Luca Ronconi
Un'immagie dello spettacolo di Luca Ronconi

Anno 1 Numero 08 Del 25 - 2 - 2008
Quando il petrolio sarà venduto allora inizierà anche a sgorgare
Ronconi si appoggia ad Hermann Broch per un attualissimo affresco vecchio di ottant’anni

Mariateresa Surianello
 
Con Lo specchio del diavolo gli spettatori erano chiamati ad ascoltare spiegazioni e a riflettere sui massimi e sui minimi sistemi dell’economia, in un processo di conoscenza attivato proprio dal tentativo di rappresentare questa scienza. Accadeva due anni fa, a Torino, per il mastodontico progetto Domani, che Luca Ronconi trasformasse il saggio fornitogli da Giorgio Ruffolo in materiale per la sua creazione artistica. Materia non usuale per la scena contemporanea, ma frequentata dal teatro borghese del XIX secolo, con la “pièce bien faite” di Eugène Scribe, che però la usava per crogiolarsi e in maniera molto lontana dall’approccio critico adottato da Ruffolo e Ronconi, i quali pongono al centro della riflessione l’essere umano, chiedendosi e chiedendo agli spettatori se l’economia serva all’uomo o se sia quest’ultimo al servizio dell’economia. Una duplice domanda che investe necessariamente le sfere della politica e dell’etica e che funge da base per l’evoluzione della ricerca ronconiana, approdata a Ray Bradbury con Fahrenheit 451 e a Hermann Broch con Inventato di sana pianta ovvero Gli affari del barone Laborde. Non è un caso quindi che per le repliche romane al Valle sia stato organizzato un incontro con Ronconi e Ruffolo, coordinato da Gianfranco Capitta (forse il più appassionato conoscitore del teatro ronconiano), mentre a poche centinaia di metri, al Teatro Argentina (fino al 2 marzo), sia in scena proprio il fantastico romanzo di Bradbury, diventato nel 1966 anche materia filmica ad opera di Truffaut.

Prima messinscena italiana della commedia del viennese Broch, Inventato di sana pianta è un gradevolissimo spettacolo, farcito di una irresistibile e sarcastica comicità che scaturisce dalla tragica consapevolezza del declino della società capitalista, dichiarata già nel prologo. In un alveare scenografico (di Marco Rossi), che apre la visione frontale sul ripetersi, in simultanea, di una serie di gesti precisi ed enuncianti il livello di crisi dei personaggi – e, così, pure della civiltà mitteleuropea. Stanno tutti per suicidarsi, i protagonisti, e la causa ovviamente è il denaro. L’azione si svolge nei primi anni Trenta in un lussuoso albergo, dove si incontrano alcuni tipi di borghesi, tutti strumentali al disegno drammaturgico, Seidler (Massimo De Francovich), presidente di un gruppo bancario, con sua figlia Agnes, fidanzata con Ruthart (Giovanni Crippa), direttore della stessa banca, il truffatore del titolo con la sua compagna, la falsa baronessa Stasi, il direttore dell’albergo (Giacinto Palmarini) in cerca d’affetto e pochi altri personaggi che fanno da contorno alla spumeggiante situazione. Con un meccanismo da vaudeville, la vicenda si snoda veloce e nel riproporre le tre unità aristoteliche (azione, tempo, luogo), Broch descrive limpidamente il crollo dei valori della società occidentale, con l’obiettivo puntato sull’economia, che degrada passioni e sentimenti, rendendoli merce di scambio e strumenti di conquista. Nell’incessante abitare questa scena dagli intensi colori pastello (le luci sono di Gerando Modica), gli attori restano quasi sempre visibili, in una costruzione scenografica, già indicata nelle didascalie del testo, che divide lo spazio in due livelli, con un sotto agito come hall dell’albergo e un sopra come camere da letto. E in questo upper stage, continuamente modificato dallo scorrere di pannelli, si consumano gli scambi di coppia e si mostra il volto del truffatore Laborde, un Massimo Popolizio in forma perfetta, che arriva addirittura a pianificare la salvezza di Seidler, attraverso una truffa legale e globalizzata dal sapore attualissimo (Broch scrive la commedia nel 1934). Incredibilmente, si parla di Teheran, di false azioni petrolifere e di Cina!

Broch denuda l’economia e la rende argomento quotidiano, tratta le transazioni internazionali e i bluff finanziari dal “di dentro”, come vero tecnico di bilanci aziendali, essendo egli stesso borghese e capitano d’industria, almeno fino a quando, per sfuggire alla furia nazista, non si rifugia negli Usa (morirà a New Haven, nel 1951, dove tra l’altro insegnava tedesco, all’Università di Yale). E il vuoto determinato dai diabolici meccanismi dell’economia Ronconi li fissa nella figura di Agnes, una impeccabile Pia Lanciotti, fasciata nei costumi di Jacques Reynaud e bloccata in una sequela di pose statuarie che esprimono perfettamente la sua impossibilità di agire per modificare la realtà. Anzi, in questa sua realtà ci sguazza con altezzoso cinismo, quasi non le appartenesse neppure quell’amore corrisposto con Laborde. In quest’humus su cui aleggia come un fantasma rimosso l’angoscia escatologica di un’epoca senza più riferimenti, vegeta anche l’avventuriera baronessa Stasi, che Anna Bonaiuto rende con movenze popolane. Sparito Laborde e raccolti i lauti compensi dai ricchi ospiti, la poveretta entra nel letto del direttore dell’albergo. Il sipario si chiude, ma il gioco del capitalismo ricomincia daccapo. Mentre, l’Europa è ormai pronta ad accogliere il delirio hitleriano, che in quel capitalismo affonda le sue radici.

A teatro: Napoli, Teatro Mercadante. Inventato di sana pianta, ovvero gli affari del barone Laborde. Dal 27 febbraio al 9 marzo.