Il manifesto di
Il manifesto di "Libértes de séjour"
Una immagine da uno spettacolo del Teatro delle Ariette
Una immagine da uno spettacolo del Teatro delle Ariette

Anno 1 Numero 10 Del 10 - 3 - 2008
Italiani occupano la Francia
Per un mese il Teatro delle Ariette occupa artisticamente la città di Calais.

Mariateresa Surianello
 
Balzati alla ribalta nazionale con uno spettacolo straordinario, Teatro da mangiare?, le Ariette da allora - era il 2000 – abbandonano definitivamente il sofferto isolamento e rientrano nella comunità teatrale con una nuova e forte identità, maturata nei quasi dieci anni di ritiro nelle campagne di Castello di Serravalle, sugli Appennini bolognesi. Col nuovo millennio Paola Berselli e Stefano Pasquini concretizzano quel processo di allontanamento dal quotidiano contadino - condizione che si erano imposti di ricercare nel 1989, chiudendo l’esperienza del Baule dei Suoni - per coniugare sempre più strettamente il lavoro della terra con quello teatrale. Ne escono spettacoli di forte tensione emotiva, spesso autobiografici, che cercano di scavare nella memoria individuale per ricomporre quella collettiva. Alcuni titoli evocativi sono Teatro di terra, Prima di Pasolini, Secondo Pasolini, L’estate.fine, L’assente, Bestie, Lo zoo sentimentale, E’ finito il tempo delle lacrime, scritture sceniche dolorose e stratificate, talvolta insopportabili per la capacità di mostrarsi in tutta la loro straziante ordinarietà. Mentre quel manifesto della loro poetica, Teatro da mangiare?, viene replicato centinaia di volte. Dal Deposito Attrezzi (il teatro costruito “mattone dopo mattone” nel loro podere in via Rio Marzatore), in questi otto anni, viaggia lungo l’Italia e apre alla compagnia la via d’Oltralpe. Gli appuntamenti in Francia delle Ariette si moltiplicano fino ad arrivare a questo marzo 2008, che vede il gruppo bolognese impegnato per l’intero mese in un esperimento davvero singolare di “occupazione” di un grande e prestigioso spazio dedicato all’arte contemporanea, la Scène Nationale Le Channel di Calais, per il progetto “Libértes de séjour”.

Inconcepibile per le istituzioni teatrali di casa nostra, con questa “libertà di soggiorno”, lasciata loro dal direttore Francis Peduzzi, le Ariette stanno abitando l’ex macello cittadino con alcuni ospiti, compagni incontrati sulle vie del teatro (Théatre des Chambre, Cuocolo-Bosetti, Socìetas Raffaello Sanzio, Erri de Luca, Gianmaria Testa) e su quelle della vita d’ogni giorno (i contadini biologici della Valsamoggia, i Fornai Garagnani e le Sfogline di Castello di Serravalle), dando vita a “Les jours de la semaine”. Un articolato programma che, oltre ad invadere tutti gli spazi dello Channel, appena ristrutturato da un’équipe di architetti guidata da Patrick Bouchain, vuole entrare in relazione con il tessuto sociale di questa città di frontiera che, come tale, vive in maniera esacerbata le contraddizioni e i conflitti della contemporaneità.

Inaugurato lo scorso dicembre, dopo un intervento di riqualificazione totale, Le Channel col suo giovane gruppo di gestione e organizzazione, nei due anni di lavori, ha proseguito le attività con la “cabane de chantier” (da lì è passato, tra gli atri, anche Pippo Delbono) e anzi il cantiere è divenuto un’occasione di incontro con la città, attraverso modalità non usuali come l’utilizzo di grandiosi animali costruiti da François Delarozière. Non a caso la ristrutturazione è opera di Bouchain che a Calais ha portato la sua idea di architettura libertaria e umanista, creatrice di luoghi aperti e condivisi. Si pensi alla Biennale di Venezia 2006, dove l’architetto e scenografo parigino, con il collettivo Exyzt (formato da architetti, designer, dj, carpentieri, artisti... c’era anche Daniel Buren), aveva creato, nel Padiglione francese, un microcosmo autonomo, in grado di generare relazioni e nuove forme di coesistenza, rispondenti a nuovi bisogni, la Metavilla/Méta-Cité.

Su queste linee, a Calais, per due anni, il cantiere è stato un luogo di convergenza di saperi, produttore di plusvalore, attraverso una riconciliazione tra il tempo della vita e quello della costruzione. Così, le Ariette entrano alle Channel con i loro animali (un piccolo zoo in scena nelle matinée per le scuole), attivando dinamiche relazionali e nuove forme d’abitare, dentro questo luogo di residenza - con l’allestimento del loro repertorio di spettacoli, declinato lungo l’arco della settimana - e fuori, nello spazio urbano. Nelle vie e nelle piazze cittadine la compagnia sta conducendo un particolare atelier, “Les reves de Calais”, che va incontro alle persone portandosi dietro un letto, dal quale le Ariette iniziano a raccontare i loro sogni, per poi coinvolgere gli spettatori nell’azione, fino a spingerli, come prescritto dal titolo, a farsi narratori dei propri sogni. Da questo esperimento ne uscirà un film – dice Stefano Pasquini, spiegando che la dimensione aperta dell’atelier «permette di fotografare la realtà». L’azione teatrale entra nel ritmo del quotidiano e lo trasforma, attraverso la partecipazione di non-attori e delle loro storie. «E’ un tentativo - sottolinea Pasquini - di costruire uno sguardo istantaneo», su una città di piccole dimensioni (solo centomila abitanti), ma abitata da migliaia di immigrati “in transito”, per i quali Calais, col suo porto e il “futuristico” tunnel sotto la Manica, diviene un limbo doloroso, simile a tante altre zone di confine tra Nord e Sud del mondo (l’apoteosi del concetto è rappresentata forse da Tijuana, in Baja California, estremo nord del Messico, porta d’accesso sugli Stati Uniti del Nord e tomba per migliaia di migranti).

Il linguaggio filmico le Ariette lo frequentano da qualche tempo, hanno già prodotto un affondo sulla figura del calzolaio e stanno ora ultimando il montaggio di un’opera dedicata al fornaio. L’approccio però non vuole essere documentaristico su mestieri ormai quasi spariti, l’intenzione è di lavorare sulla memoria, creando nuova memoria. «Non è solo il racconto di un tempo, di una vita, di un luogo - dice ancora Pasquini – ma è un modo di essere e di abitare il presente». Anche lo sviluppo itinerante dell’atelier è una formula che le Ariette andranno sperimentando nei prossimi mesi, il loro festival “A teatro nelle case” quest’anno diventerà ambulante. Per tre settimane la compagnia girerà con strutture di accampamento che monterà per i paesi della Valle del Samoggia, ospitando gli artisti con i loro spettacoli. La tensione anche lì sarà, come alle Channel di Calais, verso la relazione con il luogo, intervenendo nel tempo e nella vita del paese. Per creare una nuova dimensione quotidiana.