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Un'immagine di "Favola esplosa" di Giorgio Rossi in scena al Furio Camillo in questi giorni
Virgilio Sieni, ospite della rassegna D10
Virgilio Sieni, ospite della rassegna D10

Anno 1 Numero 12 Del 25 - 3 - 2008
Movimento alla decima potenza
Il patto stato-regioni intercetta la decennale parabola luminosa del Furio Camillo.

Mariateresa Surianello
 
Da dieci anni – contando solo la direzione artistica di Andrea Felici e Gianluca Riggi – è uno dei punti di riferimento nazionali per la scena contemporanea. Un ruolo difficile da mantenere per un piccolo teatro privato, ma il Furio Camillo è riuscito a resistere, insieme a L’Archimandrita che lo gestisce, svolgendo una funzione essenziale nel sistema teatrale italiano, quella di accogliere spettacoli difficilmente reperibili in altre sale romane. E specialmente nei teatri pubblici, sopperendo proprio alla grave lacuna di Stabili e Stabili di Innovazione.

Con questa sua vocazione all’interdisciplinarità della proposta artistica, il Furio è stato individuato dall’ETI come uno dei tre luoghi (gli altri due sono Isola del Liri e Tuscania), nella regione Lazio, per ospitare il progetto inter-regionale “Spazi per la danza contemporanea” (che coinvolge Piemonte e Campania e che nel Lazio si interseca con il progetto Teatri nella rete). Così il Furio ha confezionato “D10”, breve ed efficace titolo che richiama, tra l’altro, gli anni di direzione Felici-Riggi. Il riconoscimento istituzionale di questo status decennale ha portando una boccata d’ossigeno dentro iniziative che il Furio in ogni stagione rilancia caparbiamente auto-finanziandosele. E’ il caso di “Trasform’Azioni”, la rassegna di danza buto, che per la sua ottava edizione si snoderà attraverso tre tappe (17 – 22 marzo; 21 – 27 aprile; 2 – 8 giugno), finanziate per la prima volta, come lo sono gli esperimenti di Soma, musica e movimento in libera improvvisazione che vede protagonisti, tra gli altri, Alessandra Cristiani, Stefano Taiuti, Flavio Arcangeli e Maddalena Gana, per la danza, e Claude Parle, Cristiano De Fabritiis, Leila Adu, Hiroko Komiya, per la musica. Ma sostenute sono anche le attività laboratoriali e di formazione, per artisti e spettatori.

Il Furio è in questa stagione una vera fucina delle arti, aperta da mattina a sera, col palcoscenico in continuo montaggio e smontaggio, la saletta occupata da prove o laboratori e il foyer utilizzato come zona d’incontro e di dialogo, ma anche come galleria espositiva. Qui, tra l’altro, saranno allestite le sei installazioni di Dario Di Lernia per il progetto Texture – studi di componenti di ambiente (dall’11 aprile al 4 maggio). In questo humus arrivano per la prima volta sulla scena del Furio, accanto alle giovani formazioni, alcuni tra i più interessanti protagonisti della danza contemporanea italiana, Roberto Castello, Virgilio Sieni e Francesco Scavetta (quest’ultimo però stabile in Norvegia) e internazionale. Tra questi ultimi, proprio in chiusura della prima tranche di “Trasform’Azioni”, è tornato al Furio Camillo Masaki Iwana, intenso danzatore buto e maestro anche di Alessandra Cristiani, una delle migliori sperimentatrici di questo metodo di ascolto e di ricerca del corpo, fondato da Kazuo Ohno e Tatsumi Hijikata in risposta agli orrori della bomba atomica e contro l’americanizzazione del Giappone all’indomani della seconda guerra mondiale.

E la rassegna, per la stessa Cristiani, è stato il giusto contesto per proporre Entrana, una sua creazione tanto potente quanto limpida nella scansione scenica. Avviata nel foyer, incredibilmente sbiancato dalle luci di Gianni Staropoli e dal tappeto bianco che ricopre il pavimento, gli spettatori incontrano la danzatrice giacente in una sorta di sospensione amniotica, prima di vederla sparire attraverso la fessura longitudinale del bianco telo e inoltrarsi nel buio della sala teatrale. Attraverso quel varco vaginale anche gli spettatori, uno a uno, entrano nel mondo materico della performer che si apre con un’apparente sospensione d’azione, una zona di respiro preparatorio e premonitrice del vigore straordinario che seguirà. Lo scontro di Alessandra questa volta è con un elemento pesante, rumoroso, pericoloso, la lotta che è con il ferro, col suo insopportabile stridore. Scalcia pezzi forgiati di quella materia, sono ganci e finanche uncini, ai quali la danzatrice si appende quasi per tentare un’impossibile scalata delle pareti. La musica di Claudio Moneta l’accudisce in questa discesa nel profondo del suo sentire, come fosse un’ombra inseparabile, che le luci verticali possono far scomparire in un istante. Contusa, ferita, esausta, si imbratta il candito corpo ricoperto di biacca con il grigio di un impasto d’argilla per poi terminare la sua lotta dentro a un altro buco. Nero questa volta e buio come il nulla che ci attende dopo la morte. Sta trovando la via della sua fase matura Alessandra Cristiani e la dona senza pudore ai suoi spettatori.