Anno 3 Numero 03 - 01.03.2011 |
Anno 1 Numero 12 Del 25 - 3 - 2008 |
Guida per riconoscere i tuoi gusti |
Transitidanza: uno spaccato esaustivo e mirato alla “formazione del pubblico” |
Gian Maria Tosatti |
La danza bisogna produrla, bisogna programmarla, è vero. Ma c’è una operazione che viene prima di tutto questo. La danza, in primis, bisogna farla capire. Se è vero, infatti, che per una percentuale altissima di italiani il teatro è quella cosa che sta fra il “numme rompe er cà” di Proietti e le “penniche” goldoniane nella platea gerontofila, è anche vero che nella fantasia di molti la danza contemporanea addirittura non ha neppure un minimo riferimento immaginativo o mnemonico. Non c’è nulla, infatti, che oggi sia più lontano della danza dai codici di “comunicazione artistica” maggiormente condivisi. Se il teatro è la prosa, la danza è la poesia e se qualcuno un Camilleri ogni tanto se lo legge (dopo aver visto le puntate in tv), più difficile è cogliere la “classe media” con in mano un Luzi o una Gualtieri. E allora che si fa? Semplice, innanzi tutto cerchiamo di creare un’immagine della danza nella coscienza collettiva partendo dai canali più semplici. E’ probabilmente da questa necessità che nasce la collaborazione fra Eti e Nuovo Teatro Nuovo di Napoli per la rassegna Transitidanza (che si è svolta dal 26 febbraio al 2 marzo nello spazio ai quartieri spagnoli), una settimana in cui il vero obiettivo sembra essere stato quello di creare una mappa d’orientamento chiara sull’arte che un tempo era “coreutica” in una città dal grande fermento teatrale, ma che in questo campo dimostra gravi lacune. Ognuna delle realtà invitate rappresenta infatti un aspetto peculiare di quella che è la danza italiana oggi. Transitidanza è stato quindi un appuntamento da seguire rigorosamente per intero. Un discorso organico che giorno dopo giorno ha affrontato tutte le sfumature del tema che si era posto. Ha iniziato però all’inverso (e forse questo può essere considerato l’elemento debole del progetto che forse non se l’è sentita di rischiare il fine settimana con artisti meno conosciuti), ossia ha iniziato dalle le forme più spurie, appartenenti all’ultima generazione di artisti, le forme dell’attuale più che del contemporaneo, per poi rivelare attraverso il lavoro dei loro colleghi più grandi quali trame, quali matrici stessero alla base di una deriva integralmente performativa. Per quanto i collegamenti non siano così immediati a livello di poetica, le relazioni fra Enzo Cosimi e i più giovani Habillé d’Eau e MK sono strettissime e legate ad un modo di concepire la danza da parte del primo che nel lavoro degli altri due gruppi artistici diventa una eredità di piena legittimazione ad inseguire forme che non hanno più nulla a che fare con la “danza” tout court, ma che sono più legate al concetto di “coreografia”. Questo libera il danzatore da ogni convenzione e porta il suo atto ad essere integralmente “performativo”. Da qui l’implementabilità assoluta di alfabeti e codici compositi che i gruppi più giovani hanno visitato facendo della performance non solo una componente fisica, ma un concetto estetico assorbente l’intera opera. E’ un triplo passaggio che nella più scorretta delle semplificazioni va dall’ultima declinazione della danza, alla non-danza, fino alla performance, ma che ci permettiamo di usare pensando che in fin dei conti è quel che capirebbe lo spettatore di danza alle prime armi. Ora è chiaro che guardando i lavori proposti, soprattutto sulla base della loro qualità, assai più importanti appaiono le domande di senso che reggono le immagini forti di Ragazzocane o le riflessioni di Santasangre. Ma capire che cos’è la danza è essenziale per fornire un contesto di riferimento, una “guida” da seguire per potersi poi andare a cercare di nuovo quel qualcosa, quel modo particolare e verticale di porsi certe questioni che a Napoli si è visto e, a dirla tutta, si è visto bene. Ed è appunto significativo che ad aprire la rassegna siano stati i Santasangre, un gruppo che con la disciplina del movimento non ha nulla a che fare, ma che specialmente con questo primo studio di Concerto per voce e musiche sintetiche, si inserisce in una dimensione performativa aperta e in grado di dialogare con realtà la cui tradizione è più puramente coreografica, come Ambra Senatore o la compagnia Chiaradanza. Tre opere le loro, che hanno dato alla prima giornata una piega profondamente legata alla realtà esterna, dal Concerto che chiude una trilogia dedicata al controllo sociale, fino alla Senatore che con Merce ha affrontato il tema della mercificazione come livello base d’interazione e a Scenata di Anna Redi che ha messo al centro la questione del corpo femminile nei media - che poi è appunto merce e strumento di controllo sociale. Più legata all’indagine sul corpo e sulla figura è stata la seconda giornata con la Compagnia Stalk di Daniele Albanese e con Teodora Castellucci, rispettivamente autori di Arebours 100 e A elle vide. Terza giornata dedicata alla videodanza, un genere che ha trovato un forte traino nell’evoluzione della videoarte e che attraverso la collaborazione con il festival Il coreografo elettronico, ha presentato a Napoli lavori di grandi artisti internazionali. Hanno chiuso nel week end tre dei coreografi italiani più rappresentativi a livello europeo, Habillé d’Eau di Silvia Rampelli con l’opera creata per la Biennale di Venezia del 2005, Ragazzocane, MK che assieme ai musicisti elettronici francesi del collettivo ESC ha riproposto Real Madrid e Enzo Cosimi col suo Bastard Sunday dedicato a Pasolini. |