La copertina del cofanetto edito da Feltrinelli
La copertina del cofanetto edito da Feltrinelli
Claudio Lazzaro
Claudio Lazzaro

Anno 1 Numero 13 Del 31 - 3 - 2008
La storia č lenta, il revisionismo č “Nazirock”!
Bianchi, rasati e tristi: l’identikit dei guardiani della razza secondo Claudio Lazzaro

Mariateresa Surianello
 
Un tatuaggio impresso nella carne, esibito come una stigmate di devozione e poi, quando la camera dal polpaccio sale, compare il volto di un giovanissimo qualsiasi con gli occhi tristi e smarriti in un mare di bandiere dai tetri simboli condannati dalla Storia. Storia che quel ragazzo disgraziatamente non conosce e si tatua un malriuscito Benito Mussolini col fez. Forse è già tutto in questo prologo il senso del film di Claudio Lazzaro, Nazirock, un documentario (in uscita il 4 aprile, a Roma al Politecnico Fandango) che entra nei meandri di una subcultura musicale mostrandone le dinamiche di aggregazione e la strumentalizzazione politica operata dai capi del neofascismo italiano. Quelli che, pluricondannati stragisti e con ventennali latitanze sulle spalle, oggi (dalla sua nascita nel 1997, il 29 settembre, giorno di San Michele!), si riconoscono nel movimento Forza nuova, Roberto Fiore (il suo segretario nazionale), Luca Romagnoli, Adriano Tilgher. Personaggi oscuri, emersi nei gruppi eversivi fascisti che hanno macchiato di sangue il nostro Paese. Ma non per questo esclusi dalla coalizione di Berlusconi, nelle elezioni del 2006. Sdoganati dal Cavaliere, li ritroviamo difatti sul palco della manifestazione dei “2 milioni” a Roma contro il governo Prodi, il 2 dicembre dello stesso anno, negli spezzoni di repertorio che Cecilia Zanuso ha montato sulle interviste originali riprese da Elena Somarè.

Più che ricostruire la storia dei gruppi musicali d’ispirazione nazionalista, o meglio, per dirla a modo loro, “nazional-socialista”, Lazzaro ricompone l’humus culturale in cui queste espressioni prendono forma. Nello svilimento - ma forse meglio – nell’ignoranza dei valori umani e civili (e cristiani, in un’Italia cattolica) li vediamo, questi ragazzi, inneggiare alla violenza alzando il braccio nel saluto romano, con la sola consapevolezza di essere emarginati e in preda a una sorta di solitudine impregnata di nostalgia per l’epoca dei trionfi nazifascisti, naufragati nei lager di sterminio e tra le macerie delle seconda guerra mondiale. E’ un tuffo nelle pieghe della società questo Nazirock, che l’autore confeziona con taglio d’inchiesta giornalistica e presenta alla vigilia di nuove elezioni politiche, sollevando una questione cocente. “Il contagio fascista tra i giovani italiani” è il sottotitolo del film che esce anche in dvd (in libreria dal 3 aprile, edito da Feltrinelli Real Cinema, in cofanetto con il libro Ho il cuore nero, a cura di Mario Capello). Già giornalista dell’Europeo e poi del Corriere della Sera, Claudio Lazzaro due anni fa lascia il quotidiano milanese per sperimentare la forma documentario a basso costo con la sua Nobu Productions. Il primo parto è Camicie Verdi (quelle della Lega Nord) e ora arrivano gli skinhead di Nazirock, seguendo il filo di una trilogia scomoda, che l’autore stesso ammette di non poter completare (peccato, la conclusione sarebbe stata dedicata a Silvio Berlusconi), temendone già le conseguenze.

Un film scomodo, appunto, che non avremmo voluto vedere, ma che speriamo venga visto dai nostri politici di sinistra che troppo poco conoscono delle realtà giovanili, figuriamoci dell’underground, lasciando all’onorevole Santanchè l’onere di occuparsi di queste fasce reiette. Un bacino di bravi ragazzi tutti patria e famiglia, dal quale attingere voti, per la candidata premier della Destra di Storace, preoccupata di non sfondare il tetto del 4%. In settanta minuti, Lazzaro disegna un quadro preciso di musica e parole, entra con la camera nei concerti e intervista i giovani musicisti fascisti, portandoli a snocciolare il repertorio di canzoni e di pensieri, con un montaggio veloce che alterna musica e parlato ai tragici momenti della nostra storia stragista (sempre commovente il sonoro di piazza della Loggia). E poi nel finale le immagini dell’Olocausto con gli scheletri dei sopravvissuti nei lager e le montagne di cadaveri (quelle che ne La vita è bella Benigni aveva reso con un’atroce e indimenticabile stilizzazione). Ritorna quel lessico che definisce un misero pensiero improntato sulla virilità e la potenza: traditore-tradimento, onore, nemico, gloria, razza, nazione, orgoglio, e non a caso le donne scarseggiano. A parte un paio di intervistate, sono davvero poche le figure femminili distinguibili nella massa di uomini, sia alle manifestazioni di piazza, sia nei luoghi dei concerti. A riconfermare l’estremo maschilismo della cultura skinhead nazifascista. Così questi giovani maschi bianchi italiani antisionisti xenofobi, al richiamo di nuovi giorni di gloria in arrivo, nei concerti di rock nazionalista possono ammucchiarsi uno sull’altro, senza temere di schiacciare le tette delle camerate. Ma i concerti del gruppo perugino Hobbit, non sono solo occasione per giochi infantili, si fa anche mercato di gadget, magliette, sciarpe, adesivi con croci uncinate e cerchiate, Hitler e Mussolini, insomma tutto l’armamentario simbolico. E poi quando questi eventi sono accolti in contesti importanti (tipo il raduno di Forza nuova), il leader della band si fa presentatore di ospiti internazionali e sul palco arrivano gli illustri capi della destra estrema europea, la Epd tedesca, la Falage spagnola, i rumeni di Nova deapta. E’ una rete ben collegata, con poche idee, ma chiare. E di nuovo viene da chiedersi se a questi ragazzi con gli occhi tristi, che non sorridono mai e si esaltano con i testi del rock identitario, qualcuno abbia mai raccontato dei pogrom della Guardia di Ferro a Bucarest. La loro scuola è stata e continua a essere la strada, come dice Gigi, il leader dei Legittima Offesa, altra band white criminal che dal palco incita a ribellarsi contro la polizia e che in Onore e gloria celebra il sacrificio dei ragazzi di Salò. Negano l’Olocausto e si dichiarano revisionisti storici, mentre un loro camerata intervistato per strada è convinto che sei-otto milioni di ebrei sono troppi, al massimo quelli massacrati nei lager nazisti saranno stati un milione. Raccapricciante.

E Claudio Lazzaro li lascia parlare, li sollecita ad aprire i loro cuori neri di rabbia. Credono nella razza e si sentono diversi in un mondo di uguali. I più informati come Gigi parlano di diversità culturale (anche i white power hanno abbandonato l’inesistente diversità biologica dimostrata dalla scienza), temono l’invasione extracomunitaria e aborriscono il meticciato, odiano Israele e vogliono lo Stato palestinese, detestano i Pacs e vieterebbero l’aborto legale, vogliono la conservazione delle tradizioni e l’integralismo cattolico, infarcendolo di misticismo. Come se gli ultimi cento anni di storia non fossero stati vissuti dall’umanità. E’ un programma improponibile. Eppure, vanno negli stadi di calcio a fare proselitismo con grande successo. Le conseguenze si sono viste a Catania e a Roma, con le tifoserie di squadre avversarie incredibilmente unite in un unico delirio collettivo di distruzione e morte. Oggi i campi di calcio sono il terreno vuoto e più fertile per l’esaltazione dei valori nazifascisti.

Al cinema: Nazirock di Claudio Lazzaro. Dal 4 aprile. (In anteprima a Roma, il 31 marzo, al Piccolo Apollo e a Milano, al Cinema Anteo, il 2 aprile).

Nei negozi: Nazirock di Claudio Lazzaro. Libro + dvd. Feltrinelli Real Cinema