Anno 3 Numero 03 - 01.03.2011 |
Anno 1 Numero 14 Del 7 - 4 - 2008 |
Lavorare con lentezza |
Una conversazione con Wang Qingsong |
Attilio Scarpellini – Junko Terao |
Sarà anche vero che le sue fotografie sono un’affollata summa degli stereotipi fashion del nuovo consumismo cinese e che il suo teatro visivo va letto soprattutto attraverso la lente della parodia. Che Wang Qingsong, sulle orme di Warhol – un riferimento obbligatorio, a quanto pare, per il contemporaneo cinese - è il disinvolto mitografo dell’ambiguo modello di sviluppo della Cina odierna. Ma non è questa, o almeno non è soltanto questa, l’impressione che lasciano le opere che questo artista nato quarantadue anni fa nella provincia di Heilongijang (ma che oggi vive e lavora a Pechino) ha esposto nelle sale del Palaexpo di Roma in occasione della mostra Cina XXI secolo. Arte tra identità e trasformazione. Sulla scena di Dormitory, i corpi nudi offuscano decisamente i loghi e le citazioni – come quella idilliaca del violon d’ingres di Man Ray (di cui Qinsong è un bulimico consumatore) - si sperdono nell’icasticità di una visione dominata da una promiscuità soffocante, quasi concentrazionaria. La Cina che si assiepa nel dormitorio collettivo di Qinsong non è poi molto diversa da quella che i bambini cinesi delle scuole dell’Esquilino disegnavano qualche anno fa, tracciando piante di case dove non esistevano saloni e cucine ma solo ambienti occupati da letti e da persone. E il presepe di frontiera allestito con Dream of migrants produce una sensazione molto simile: tutto in esso è finto e costruito come il set di certi western, ma la sua desolazione da avamposto nomade sospeso nel deserto globale è sorprendentemente vera. L’ironia, certo, avvolge (e protegge) una riflessione che altrove nella Cina sfollata dall’urgere del grande evento e dall’avanzare delle grandi opere volge drasticamente al dramma. Ma il corpo del dramma preme sulla patina dell’immagine. E come i suoi still-life raggelati dal colore, anche Wang Qingsong, forse il più noto esponente di un arte contemporanea che comincia a vendersi bene anche sui mercati americani, ha l’aria di parlare con il codice muto di Benito Cereno: di lanciare dei segnali che tocca ai suoi spettatori interpretare. Non si sa bene se celebri o ferisca, se allegorizzi o profetizzi, l’artista che in una delle sue ultime fotografie, significativamente intitolata Glory of Hope, mostra un tramonto sfolgorante e i cinque cerchi olimpici disegnati sul fango. Signor Qinsong, vogliamo cominciare da Glory of Hope? Delle quattro persone che nella sua fotografia guardano il tramonto, una ha le stampelle. E' visibilmente un'allegoria del potentissimo sviluppo recente della Cina. Nel suo artist statement lei dice che il fango rappresenta la condizione rurale che la Cina si sta lasciando alle spalle. Pensa che qualcuno, nella Cina di oggi, sia destinato a pagare il prezzo di questa "Glory"? Credo di sì. In Glory of Hope quattro persone guardano verso un futuro scintillante mentre l'unica che si volta indietro è un bambino. Lui è la futura generazione che testimonia e racconta la storia. Quanto alla vostra domanda, penso semplicemente che se qualcuno vuole raggiungere qualcosa molto velocemente, deve essere pronto a prendersi le responsabilità delle conseguenze che produce. Tuttavia, oggi sono in molti a pensare che queste conseguenze non siano importanti. Vogliono solo afferrare le cose il più rapidamente possibile. La verità è che solo una minoranza di persone è in grado di guardare dritto e camminare così velocemente. La maggioranza rimane molto indietro e non è coinvolta in questa drastica trasformazione. Nelle mie opere cerco di descrivere soprattutto quello che sente questa maggioranza. Tutte le sue opere portano il segno della "doppia economia" cinese. Come altri artisti contemporanei, sembra ossessionato dalla mercificazione:il suo Buddha (Thinker) ha stampato sul petto il logo di McDonald's, i manifestanti di Come, come sono accaniti consumatori. Ma la sua è una critica o un'apologia? E come potrei essere critico? Di questi tempi la voce della critica è così poco ascoltata… La gente si preoccupa poco di quello che le altre persone pensano o hanno a cuore. A loro importano di più i propri interessi commerciali. Io dico solo quello che penso. Posso solo parlare fino a perdere la voce per mettere gli altri in guardia dal pericolo che stiamo correndo. Le sue opere sono sempre molto popolate. Due delle sue fotografie in mostra al Palazzo delle Esposizioni di Roma, Dormitory e Dreams of Migrants, sembrano rispondere perfettamente all'immagine che gli occidentali hanno della Cina: un mondo brulicante, gremito di persone dove il singolo è inesorabilmente destinato a scomparire nella moltitudine. In Cina siamo 1,3 miliardi di persone, quindi dobbiamo occuparci di particolari problemi come il cibo e gli indumenti. Per esagerare un po', un boccone di riso in più per ogni cinese rischia di influenzare il prezzo del grano nel mondo. Un grammo di spazzatura in più avrebbe notevoli conseguenze sull'inquinamento globale. Questo per dire che una popolazione così numerosa è sia una speranza sia una minaccia agli occhi di chi non ha un'idea chiara di cosa i cinesi pensino o facciano. Anche se in questo paese c'è molta gente mite e amante della pace, la Cina nel mondo suscita ancora inquietudine. Per questo le mie opere spesso forniscono alla gente un punto di vista su questo disagio e su questa incertezza, forse perché questa gente è affamata o spera che il mondo dedichi loro una simile attenzione. Perché ha deciso di lasciare la pittura per la fotografia? Ho deciso di passare alla fotografia intorno al '96. L'unica ragione è che pensavo che la pittura non fosse più in grado di catturare perfettamente il cambiamento del mondo in atto. La fotografia, con la fotocamera che svolge la funzione di "catturare la realtà", è quindi lo strumento più adatto per me. Le sue opere però non hanno nulla di immediato, sono il frutto di un’accurata messa in scena. E diversamente da quello che accade con altri artisti chiamano spesso in causa il tempo dello spettatore: solo per cogliere fino all’ultima postura di Dormitory potrebbero volerci delle ore. Che relazione c'è tra il processo creativo e la fruizione dello spettatore? Il tempo ha ancora un senso nell'arte contemporanea? Sì, in Dormitory si possono vedere molte idee. Le mie opere derivano dalla mia osservazione quotidiana della realtà. Spesso memorizzo piccole storie di vita e le registro nelle mie immagini fotografiche concentrate. Come su una tavola a fine banchetto, dove si vedono molti avanzi. In realtà, dopo aver riscaldato gli avanzi in un forno io li mischio e il piatto finale è insapore, non perché non abbia sapore ma perché sa di qualcosa che non ci è più familiare. A volte descrivo le mie foto come un biscotto iperproteico che contiene tutti i tipi di nutrimento. Tuttavia, il suo sapore non è chiaro. Queste descrizioni sono paragonabili ai drastici cambiamenti della Cina e il tempo è la loro vera materia. Il tempo ha ancora un grande significato per tutti. C’è sempre bisogno di tempo per finire quello a cui aspiriamo. E' molto importante. Per questo i pezzi di arte contemporanea richiedono tempo. Oggi tutti parlano dell'immagine "pop" della Cina, come se il famoso ritratto di Andy Warhol avesse ormai sostituito il culto popolare di Mao. Lei si sente un rappresentante di questa nuova immagine della Cina? L'epoca che per Andy Warhol produceva immagini di culto era piuttosto semplice rispetto alla nostra: si poteva ancora creare un mito durevole nel tempo. Oggi che la Cina ha una popolazione così numerosa e il mondo ha così tante informazioni a disposizione ogni giorno, la gente si dimentica rapidamente di questo o quel miracolo, perché l'uno rimpiazzerà molto presto l'altro. Se Andy Warhol potesse vedere la Cina di oggi, questa non sarebbe più un'immagine pop. E' la vita. Quando visitò il paese negli anni '80, Warhol era per i cinesi un perfetto sconosciuto. Nonostante lui affermasse che la sua immagine del potere era penetrata in Cina, nessuno se ne è mai veramente accorto. Ci sono troppe cose che attirano lo sguardo e a cui far attenzione nel mondo di oggi. E l’arte o la cultura sono soltanto un piccolo segmento dello sviluppo in corso nel mondo. Proprio ieri, qui a Pechino, si apriva una mostra di Andy Warhol nel ritrovo più in voga dell'arte contemporanea cinese, la Factory 798. Io non sono andato all'inaugurazione. Sono sicuro che molta gente non ha alcuna nozione di quello che Andy Warhol facesse in Cina venti anni fa. Due anni fa avevano pensato di invitarlo in Cina. Non sapevano neanche che fosse morto. Lei è molto critico verso il tipo di sviluppo che la Cina ha adottato. Pensa che possa esistere un modello alternativo, più rispettoso delle tradizioni culturali e della libertà individuale? L'unica alternativa è rallentare la rapida ruota dello sviluppo. Rallentando, possiamo riflettere sui problemi, avanzando con più calma e più senno per risolverli più accuratamente ed evitare errori. Poi bisognerebbe sentire la voce di più persone. Così saremmo più rispettosi della nostra tradizione culturale e anche della libertà individuale. Come Hitchcock o certi artisti rinascimentali, lei è spesso presente nelle sue scene. Si tratta di una firma o crede che la sola vera immagine di un artista debba passare attarverso la sua arte? Penso che il mio aspetto sia tipicamente cinese. Assomiglio molto ai migranti. In più, quando iniziai a fare fotografie non era così costoso inserirmi nelle mie opere. La firma non è importante per me. A dettare la mia presenza in scena, come voi la chiamate, è stata soprattutto la necessità: agli inizi, il budget che avevo a disposizione era molto ristretto e allora ho utilizzato molte mie immagini. Solo più tardi, qualcuno ha cominciato a capire che il tipo che compare in alcune foto, in Yaochi Fiesta, in Night Patrol , in Dream of Migrants, ero proprio io. |