Anno 3 Numero 03 - 01.03.2011 |
Anno 1 Numero 17 Del 28 - 4 - 2008 |
Le strade del teatro, dalle periferie al cuore del problema |
Una conversazione con Ninni Cutaia, direttore dell’Ente Teatrale Italiano |
Gian Maria Tosatti |
Alle porte di maggio del 2008 il nuovo corso dell’Eti, nato dall’atto d’indirizzo ministeriale scritto nella scorsa “semi-legislatura” e dalla nomina collegata di Ninni Cutaia alla direzione, ha ormai superato lo stato di rodaggio e si prepara a macinare i primi chilometri della sua strada. Tra le stazioni iniziali c’è quella del progetto Teatri nella Rete, in cui l’Ente Teatrale Italiano è stato chiamato come partner di gestione dalla Regione Lazio. Parlarne assieme a Cutaia può essere l’occasione per capire lo stato di molte cose nella scena italiana. Prima di cominciare volevo domandarti come procede la dismissione dei teatri di cui molto si è parlato. Sta andando avanti. Bene a Bologna, dove abbiamo trovato un buon accordo con il comune che, dopo una fase di “accompagnamento”, rileverà completamente il teatro nel 2011. A Roma, invece non c’è stata la manifestazione di interessi istituzionali per il Quirino, quindi emaneremo probabilmente un bado pubblico per la gestione della sala cui parteciperanno soggetti privati. Pergola e Valle resteranno invece all’Eti sulla base di quanto sta scritto nel nuovo atto d’indirizzo dell’Ente. Dalla cronaca invece passiamo all’analisi. Avviato il 2008 è ora di fare un punto sul progetto Teatri nella Rete e sul contributo che voi gli state dando. Ma prima di questo, per capire meglio l’ottica che muove il nuovo corso dell’Eti e visto che sei il direttore dell’istituzione nazionale dedicata al teatro volevo partire dal principio di base, e domandarti quale pensi sia nell’Italia di oggi il ruolo di quest’arte politica per definizione? Dopo venticinque secoli il teatro si manifesta sempre come un luogo del confronto. E ancora, come un’esperienza che comporta una scelta. Bisogna uscire di casa, mescolarsi tra la gente, pagare, per andarci. Già questo ti dà la misura di quanto sia diverso da altri mezzi che invece si subiscono passivamente. Il nuovo pubblico, quello di questi anni, di questi mesi, non è più quello dell’abbonamento e dell’abitudine alla poltrona. In una sala teatrale di oggi troverai tutte persone che hanno compiuto un atto di volontà. E’ un buon inizio. E poi capisci che lo stato di necessità che ha richiamato quegli uomini o quelle donne è quello di sentir parlare del tempo presente, della vita e delle questioni dell’uomo. Non ha importanza allora che gli spettacoli siano legati alla tradizione o all’innovazione L’importante è che il palcoscenico sia un luogo d’indagine del presente. Allora troverà anche un pubblico numeroso. L’ho capito nei miei anni in una città dalla tradizione fortissima come Napoli (dove Cutaia è stato fondatore e direttore per quasi cinque anni del Teatro Stabile con sede al Mercadante. ndr). Ti faccio due esempi programmati al Valle quest’anno. Uno è la Trilogia della Villeggiatura in cui Toni Servillo ha impresso un carattere innovativo a Goldoni togliendolo dalle ragnatele del tempo facendolo avvertire al pubblico come un autore che affronta e analizza questioni estremamente attuali, quotidiane. L’altro spettacolo è Gomorra, di Saviano. Due spettacoli diversissimi, ma che hanno avuto la capacità di portare in teatro un pubblico che non si era mai visto. E’ ovvio che il discrimine di tutto rimane l’alta qualità artistica. E’ quindi questo il motivo per cui vi state impegnando nel progetto di decentramento nella provincia laziale, ossia per portare uno strumento di analisi del presente in luoghi che ne sono sprovvisti - anche per via dell’atavico “romacentrismo” subìto dai suoi abitanti, che hanno sempre preferito fuggire verso la capitale piuttosto che coltivare risorse e occasioni nei tanti e differenti territori. E’ esattamente così. L’obiettivo era di provare, anche attraverso il teatro, a potenziare quei contesti sociali magari già sensibili alle istanze della cultura, ma sprovvisti di mezzi. E’ andata così a Ceccano, per esempio. Il teatro lì non c’era. Abbiamo trasformato un vecchio cinema. E la risposta è stata esaltante, tanto che da un giorno di programmazione per uno spettacolo siamo passati ad immaginarne cinque. Parliamo di una zona in cui gli spettatori erano abituati ad organizzarsi con dei pullman per andare nelle sale della capitale e probabilmente continueranno a farlo. Ma poter frequentare un teatro che fa parte del proprio nucleo sociale diventa una opportunità decisamente importante. Specie se i progetti che vi si realizzano non sono pensati per aprire le porte solo nelle ore di spettacolo, ma fanno sì che quella istituzione sia una fucina di laboratori, di attività formative come quelle che stiamo facendo con i ragazzi e con i bambini in questo momento. Chiaro, ma girando per la provincia mi sono reso conto che a mancare davvero sono quelle figure di giovani operatori che, una volta esauritisi i progetti, potranno rimanere sui territori, rilevando la vostra eredità. Il rischio è che finito il triennio che vi vede coinvolti direttamente, gli spazi tornino chiusi e le programmazioni restino unico appannaggio dei circuiti regionali che di solito in proposito hanno idee completamente diverse. Avete idee su come risolvere questo problema? Abbiamo già incontrato la Regione Lazio per affrontare la questione. D’altra parte se pensi al “Progetto aree disagiate” che facemmo anni fa assieme a Marilisa Amante, quando lavoravo qui come funzionario, capirai che su questo tema abbiamo anche una certa esperienza. Il problema per noi è dunque molto presente e da non sottovalutare. Il primo passaggio è concordare una strategia con la Regione che coordina l’intero progetto, poi credo che dovremo valutare situazione per situazione. Ti porto, infatti, l’esempio del Comune di Formia, che ha promulgato un bando per individuare un operatore locale che possa gestire le attività del nuovo teatro. A Ceccano invece c’è un rarissimo caso di grande efficienza pubblica. L’amministrazione locale ha un ufficio culturale di grande sensibilità. In quel caso vale la pena di lavorare per incrementare gli strumenti di quegli operatori pubblici. Detto questo ed ammesso che ci sono anche realtà meno brillanti, va da sé che il tema che mi proponi è quello da cui dipende il successo o l’insuccesso di un progetto come questo, ossia la possibilità per questa iniziativa proseguire nel futuro. E che cosa contate di fare? Beh l’obiettivo di partenza del progetto era quello di correggere in corsa la traiettoria verso un impegno ragionato sui singoli territori. Questo perché purtroppo per questioni burocratiche legate ai fondi erogati dal ministero abbiamo avuto una manciata di settimane per dare l’avvio all’intera triennalità. E anche se non è questo il modo di lavorare e di pensare che mi appartiene non ce la sentivamo di lasciare che queste risorse andassero perdute. Per cui abbiamo messo su una squadra d’emergenza che riattivasse teatri e programmasse un primo piano d’incontro coi territori attraverso spettacoli e progetti di più semplice e rapida organizzazione. Ora, nel 2008, con tutto l’anno a disposizione, la questione che poni diventa centrale perché questi luoghi devono dotarsi di persone che abbiano una grande volontà e desiderio di lavorare ed investire per il proprio territorio. Perché se non ci sono le persone i progetti non hanno vita. D’altra parte noi non siamo dei burocrati che emettono bandi buoni per tutti, ma degli operatori che vanno a lavorare direttamente nei luoghi in cui intendono portare energie e risorse al fine di trovare le soluzioni migliori. E mi auguro che una volta esauritosi questo progetto possiamo passare il testimone a nuovi operatori formati com’è successo al sud con gruppi come Scena Verticale. Certo. Loro erano già presenti nella provincia di Cosenza, ma grazie al vostro appoggio hanno potuto investire risorse maggiori che gli hanno permesso di acquistare una rilevanza nazionale e dunque di diventare un punto di riferimento per tutto il teatro del sud. Ma quali altri obiettivi ci sono per voi su questi territori? Tieni conto che questo finanziamento non viene da noi, ma dal ministero e dalla Regione. Nel 2009 terminerà. Il nostro obiettivo è che un impegno come questo, anche senza di noi, venga rinnovato assieme alla sua spinta verso lo sviluppo. Mi pare che comunque rispetto ai vostri nuovi assetti, una volta usciti da questo impegno potrete comunque interagire con i nuovi eventuali soggetti autoctoni. L’obiettivo legato alla dismissione dei vostri teatri a Roma e Bologna mi pare che sia proprio quello di dedicarsi maggiormente a progettualità in collaborazione con altre strutture. E’ uno degli obiettivi generali dell’Eti. Tra i cinque punti dell’atto di indirizzo ministeriale il primo è quello dell’incremento delle relazioni con l’estero, per sostenere i nostri artisti oltre la frontiera, ma poi, il secondo punto è proprio quello di sostenere le giovani generazioni. In questo senso abbiamo già promulgato un bando per dieci progetti artistici giovani sostenuti da dieci teatri italiani. E’ un bando dedicato a realtà stabili, già riconosciute a livello istituzionale. Manca però fra i suoi destinatari una fetta importante del mondo del teatro, ossia quelle “strutture indipendenti” – nate da iniziative private o dall’evoluzione dei centri sociali in centri culturali - che in questi ultimi anni sono state il vero e proprio motore di ammodernamento della scena, sia sul piano artistico che su quello del rapporto col pubblico. Come mai quest’assenza? Vedi, il primo obiettivo che ci siamo posti in quanto istituzione era quello di sollecitare, tutte quelle realtà stabili che magari sono colpevolmente carenti sul contemporaneo. Perché d’altra parte non è che se il pubblico - o in generale l’esistente - funziona peggio di certe nuove realtà private o indipendenti, allora dobbiamo abbandonarlo a se stesso. Anzi, il nostro compito è proprio quello di stimolarlo perché ci appartiene e di farlo riprendere a marciare ai massimi livelli di avanguardia. Per questo motivo il bando ha una forte componente di selezione. Non daremo risorse a tutti purché dichiarino di lavorare nel contemporaneo, ma vaglieremo i progetti di tutti e ne sceglieremo solo dieci. Senza dimenticare che uno dei requisiti di base è quello di non presentare progetti “interni” a quei teatri, ma di lavorare in relazione con gruppi e realtà esterne, appartenenti ai loro territori d’appartenenza. Ma non credi che concorrere con realtà “nate nuove” possa incentivare questo ammodernamento e questa spinta a far bene da parte delle realtà pubbliche? E’ chiaro che in un futuro molto prossimo il passo successivo sarà quello di includere le strutture di cui mi parli nella stessa rosa di candidati in cui figurano i grandi stabili pubblici. Anche perché non ha senso alla lunga fare distinzioni tra operatori che hanno l’obiettivo comune di fare il bene della cultura. Prova ne sia che una relazione con queste realtà la stiamo già portando avanti. Ne è esempio il ruolo del Furio Camillo proprio all’inteno del progetto Teatri nella rete. In questo senso un altro obiettivo a riguardo è quello di favorire la creazione di rapporti di collaborazione fra realtà indipendenti e stabilità pubbliche e private. |