Anno 3 Numero 03 - 01.03.2011 |
Anno 1 Numero 18 Del 5 - 5 - 2008 |
Nomade per forza |
Sempre disattese le speranze di nuovi spazi pubblici per gli artisti romani |
Mariateresa Surianello |
Con “La notte nera” – titola il Manifesto, all’indomani dell’elezione a sindaco di Gianni Alemanno – Roma volta pagina e accoglie sul lastrico michelangiolesco del Campidoglio l’esultante popolo della destra. Cade un tabù e una nuova era si apre per la città eterna, lo preannunciano altri quotidiani, non di parte, e lo grida il neo sindaco dalla scalinata del Palazzo Senatorio, poco dopo aver ordinato ai suoi di non lasciarsi andare in azioni ed espressioni che potrebbero essere strumentalizzate. Ma, a parte i canti, di braccia tese nel saluto romano se ne vedono molte, il 28 aprile a Roma! (YouTube ha già una bella collezione, per tutti i gusti). Sono note di colore – nero, appunto, come l’odio per il diverso, la rabbia e l’arroccamento per la conservazione di un’identità. Mentre Gianfranco Fini salito sul più altro scranno di Montecitorio, terza carica dello Stato, si dimentica di nominare, nel suo limpidissimo discorso d’insediamento, l’antifascismo come valore fondante della democrazia, della nostra Repubblica Italiana, in questi pochissimi giorni post elettorali a Roma se ne sentono tante, in forma apparentemente disordinata, ma molto grosse, significative della rottura che Alemanno intende portare avanti con la passata amministrazione. Dall’abbattimento della teca dell’Ara Pacis di Richard Meier al censimento dei Rom, dal giocattolo libidinoso della Festa del Cinema al totonomine, dopo l’invito a dimettersi per tutti i presidenti e i direttori delle municipalizzate e partecipate. Per la strada intanto il popolo non ha più ritegno nel pronunciare frasi raccapriccianti all’indirizzo di ambulanti: «Andrebbero bruciati tutti, c’hanno ragione Bossi e Fini». Figuriamoci se il presidente della Camera dei Deputati ha mai pronunciato in pubblico una simile nefandezza, lui no, ma il popolo ormai sì, è legittimato a sfogarsi contro gli ultimi della terra, nel clima di intolleranza esploso in questi giorni. La Roma vincente oggi è questa. Almeno ora se ne accorgono anche Walter Veltroni e Francesco Rutelli, il candidato sindaco che invece di pigliarsi un anno sabbatico siede in Senato. Lanciandosi nella sua prematura corsa al premierato, Veltroni ha abbandonato la città, quella che voleva multietnica e multiculturale, e ha lasciato nelle mani del vincitore le sue magiche macchine culturali. Quelle che gli hanno dato lustro internazionale, ma che sono state spesso criticate dalla base. Ad alcune di queste splendide macchine basterà cambiare il timone, e con le loro regole già pronte saranno al servizio di altre idee. E stessa sorte toccherà anche ad altri meccanismi, meno visibili e più funzionali al territorio. Tra questi, spiccano per la loro assenza i nuovi Centri Culturali, oggetto di grande interesse per le realtà creative e produttive della città, per quella fascia enorme di artisti nomadi e indipendenti, che in quegli spazi hanno sperato di trovarvi finalmente una casa. Sulla carta sono venti questi Centri, che l’Assessorato alle Periferie è andato in questi anni progettando con il finanziamento della Regione Lazio, ma solo due sono stati assegnati per il prossimo triennio – La Collina della Pace, sulla via Casilina, 18° km, all’altezza di Finocchio, e il Nuovo Cinema Aquila, a due passi dalle Mura Aureliane, al Pigneto, il quartiere che nell’ultimo lustro ha completato la sua mutazione ambientale e sociale. Entrambi confiscati alla “banda della Magliana”, il primo, a vocazione ecologica, sorge nell’omonimo parco ora intitolato a Peppino Impastato, ammazzato dalla mafia in Sicilia, mentre il Cinema Aquila, naturalmente si occuperà della settima arte. E le altre sei arti troveranno rifugio nei restanti diciotto Centri? In realtà stando al finanziamento di 50 milioni di euro dell’Assessorato al Bilancio della Regione, questi spazi, riconvertiti o costruiti ex novo, dovrebbero essere in totale ventuno. Venti o ventuno, però, il nodo da sciogliere per tutti è rappresentato dai criteri di assegnazione – che negli ultimi mesi hanno alimentato diverse leggende metropolitane. Più precisamente, le fantasie sono aumentate in coincidenza dell’annuncio - e poi dell’annullamento - di un convegno (programmato a febbraio 2007), nel corso del quale, seguendo un metodo partecipativo, si sarebbero dovute individuare e raccogliere anche le istanze di artisti e operatori teatrali dei territori, oggi accolti sistematicamente in quegli spazi occupati e autogestiti che da anni suppliscono quella che dovrebbe essere una funzione pubblica. Gli stessi spazi che Alemanno, in campagna elettorale, ha dichiarato di voler chiudere. In questa incerta e delicata situazione, quei Centri Culturali spesso promessi, nati con l’obiettivo di promuovere i diritti umani e la diversità culturale, si caricano di un ulteriore valore, quello di assicurare l’esistenza di molti gruppi di artisti e di professionisti dello spettacolo di livello nazionale e internazionale. E oggi che si rischia per questi luoghi una deriva del tutto diversa, andrebbero chiarite le cause dei rallentamenti, al di là delle pastoie burocratiche. Se finora la genesi di questi Centri non ha incluso la presenza stabile di gruppi teatrali – anche perché recuperano i Contratti di Quartiere, scartati nel 2002 dalla Giunta regionale di Storace – ora, è necessario ripensare a forme di abitazione per questi artisti e definire con estrema chiarezza le regole di assegnazione e di gestione. Subito. L’intero progetto si sarebbe dovuto completare entro il 2009. L’assessore al Bilancio della Regione Lazio, Luigi Nieri, si faccia garante della massima trasparenza. |