Anno 3 Numero 03 - 01.03.2011 |
Anno 1 Numero 21a Del 25 - 5 - 2008 |
Assenza e presenza |
Esperimenti agli antipodi tra Espz e MAddAI |
Luigi Coluccio |
Trasparenza e visibilità sono le cifre più intime, autentiche, di Teatri di Vetro. Attraverso di esse è possibile vedere con chiarezza una mappa del teatro indipendente, attraversata da una sorta di “sincretismo spettacolare”, naturalmente preso nella sua accezione positiva, che si ritrova nei primi due giorni del festival e resterà probabilmente come cifra costante.
Compagnia nata nel 2000 dall’incontro tra Nandhan Molinaro e Elisa Zucchetti, entrambe coreografe e danzatrici, Espz ha presentato a Teatri di Vetro lo spettacolo Disparitions, ispirato all’opera di Sophie Calle Last seen (1991). Prendendo spunto dal celebre furto avvenuto nel 1990 all’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston, in cui furono trafugati circa trenta dipinti di enorme valore – tra cui tre Rembrandt ed un Vermeer -, l’artista francese costruì attorno alla situazione assurda che si venne a creare – per volere della fondatrice del museo, l’edificio nella sua struttura esterna e nella sua disposizione interna non doveva essere modificato: ecco quindi che dopo il furto lungo i suoi corridoi si potevano ammirare solamente le intoccabili cornici oramai vuote- una sorta di complesso “altare all’assenza” innalzato con le foto del museo ormai vuoto e le testimonianze scritte dei guardiani, dei curatori delle mostre, del personale. Espz riprende l’idea che stava alla base di questa celebre opera della narrative art – l’assenza e, paradossalmente, la ricostruzione di questo vuoto - adattandola ad un loro precedente spettacolo, I know I know (2005). Questo diviene la mancanza da permeare, da ricreare, da ricordare. E le modalità adoperate dal duo Molinaro-Zucchetti per cercare di realizzare questo irrealizzabile sono molteplici: proiezioni, letture, canzoni, danza, epistolari, sfruttando al meglio le potenzialità-trappola di uno spazio esterno come il Lotto 12. Una meta-teatralità velata da sottile ironia – si arriva a miscelare nelle musiche gli Apollo 440 ed Edith Piaf, questa ultima presente come “voce esterna femminile” - riecheggia in questo (ri)fare teatro, che si nasce, si articola e si avvolge su se stesso, trasportando lo spettacolo nella pura concezione di ciò che Espz chiama danza. Va in tutta altra direzione il lavoro di MAddAI, compagnia nata all’interno del CSOA Forte Prenestino nel 2000 da un’idea della coreografa ed animatrice del progetto Simona Lobefaro. Acerbo - lavoro che segue i vari O’hei (2004), N>2 (2005) e Pezzounico (2006), quest’ultimo realizzato con l’artista visuale Barbara Fagiolo -, ripropone con grande rigore le linee guida della danza di MAddAI: forte compenetrazione con la vita quotidiana, grande attenzione al fattore del “tempo”, improvvisazione dettata dalle intime pulsioni del corpo. In scena, e fuori, il solo danzatore-performer Alessandro Lumare; dietro di lui un fondale che assumerà di volta in volta differenti colori; accanto, attorno, a lui, un sonoro incessante. Tanto basta a questo Acerbo per divenire spettacolo. Uno spettacolo che, letteralmente, si distende tra la scena e il “normale”, dove con questo ultimo termine la Lobefaro individua l’extra-spettacolare, l’esistente quotidiano, e, quindi, gli spettatori –accanto ai quali Lumare siederà per un tempo indefinito, in un sapiente uso delle dilatazioni temporali che tanto gioco hanno all’interno di questo lavoro. E dal “normale” il danzatore-performer ritornerà alla scena, trascinandosi dietro le incertezze e le caducità fisiche e di pensiero della vita: ecco dunque sul palco non una danza, ma un abbozzo di essa, un tentativo intrinsecamente acerbo di urlare, muoversi, mostrare. E il tutto diviene assoluto stridore accostando l’instabilità naturale del danzatore-performer alla compattezza del sonoro e al lento, sicuro, alternarsi dello spettro cromatico dettato dal fondale. |