Anno 3 Numero 03 - 01.03.2011 |
Anno 1 Numero 21c Del 30 - 5 - 2008 |
Prime impressioni |
Teatropersona si lascia spiare mentre studia il suo “Trattato dei manichini” |
Gian Maria Tosatti |
E’ piuttosto difficile parlare del Trattato dei manichini di Teatropersona. Se non altro perché la materia che affronta è la più complessa, ma anche e soprattutto perché la forma con cui si è presentato a questa seconda edizione di Teatri di Vetro è quella dello studio. Una forma incompiuta, dunque, per cui ogni analisi critica è per definizione prematura. Sulla scena vuota, in cui s’impone il simbolico nero del teatro, prende vita una sorta di grande carosello d’immagini che conservano l’ordine caotico dei sogni da cui sono uscite. Sul banco ci sono i ricordi di Alessandro Serra, regista e autore delle visioni del gruppo residente a Civitavecchia. C’è il collegio principalmente, quel mondo duro, controverso, condizionante su cui s’è costruita una parte importante dell’immaginario letterario francese. E poi ci sono tutti i suoi ambigui attributi, confusi nell’intima lascivia della memoria. Identità sovrapposte di donne in abiti da prete, bambini che reggono la cartina dell’Italia dietro cui stare in punizione, figure femminili discinte annegate in un oceano di promiscua esposizione erotica e antierotica al contempo. C’è tutto un universo in questa rassegna di immagini che Serra, estrae dal suo cappello magico senza ancora volergli dare un ordine. Le sbatte in scena come lenzuoli che lasciano sollevare nuvole di polvere dentro cui vedere sempre nuovi segreti. Ma questo studio non è più di questo e di più non vuol essere. C’è giusto il tempo di mettere in fila anche alcune possibilità di scrittura tecnica sulle quali si sta lavorando e che in un modo o nell’altro confluiranno nello spettacolo completo. C’è un lavoro sul movimento stilizzato della marionetta che assume una qualità evidente a questo punto del percorso, ma che si esprime solo in “certi” momenti. C’è l’ipotesi di lavoro sulla tecnica cinematografica della stop motion, ricercata con strumenti “alla portata”. E poi c’è molto “movimento”, molta danza, forse troppa, anzi decisamente troppa, ma è presto per dirlo seriamente, perché manca ancora tutta la drammaturgia, ovverosia il pane che assorbe il brodo dentro cui per ora la “ciccia” annega. Serra però non si preoccupa. Prende con serietà la parola studio e la utilizza per squadernare tutto, senza paura di dover fare bella figura per l’occasione, di dover salvare capra e cavoli. Lo spettacolo sarà pronto tra un mese e mezzo. Per allora il sugo si sarà ritirato e sarà pronto. Per adesso allo spettatore è consentito di spiare tra le quinte, come quando si vedono i film in premontaggio. Non si può sapere se quel che ne verrà fuori sarà noioso o emozionante. Solo si può confermare la cura e la serietà con cui questo gruppo continua a lavorare e augurargli che anche in questo ambiziosissimo progetto, affondato nelle visioni del profondo, i risultati paghino come in passato. |