Anno 3 Numero 03 - 01.03.2011 |
Anno 1 Numero 21d Del 1 - 6 - 2008 |
Il testimone |
Storielle di fantasia più crudeli di verbali nel “Morra” di Teatro Labrys |
Gian Maria Tosatti |
La storia ultimamente s’è sentita raccontare mille volte. E pare che la camorra in Italia sia uscita fuori tutta quest’anno. E per certi versi è vero. E forse merito va a Saviano che una volta tanto ha puntato l’obiettivo su un mondo di cui, prima di Gomorra, si conosceva bene solo il nome. L’unica cosa che c’è da sperare a questo punto è che non si abbia a soffrire l’effetto domino che s’innesca regolarmente in Italia quando un argomento tira. Insomma che passi di moda la mafia e che si comincino a fare fiction sulla camorra. Abbiamo retto La piovra, non reggeremo sicuramente ’O purpo. Ma più di tutto questo è vero perché a forza di parlarne, di renderlo alla portata di tutti, di farne il libro e poi il film del libro e poi la fiction del film e poi la puntata da Vespa sulla fiction, un argomento si semplifica fino a diventare un omogeneizzato (ossia una pappetta omogenea a tutto il resto, che si confonde con Cucuzza, con Bim Bum BamI fatti vostri). Ed è già successo. Proprio con il libro di Saviano s’è impiccato uno dei più talentuosi giovani autori del cinema italiano, Matteo Garrone. Il suo Gomorra, vincitore a Cannes, è un film vuoto, di caratura ben inferiore rispetto alle storie affrontate in passato, dove la complessità dell’essere umano riusciva ad emergere in modo assai più acuminato. E poi, anzi prima, c’è stato lo spettacolo teatrale, una sorta di compitino che andava fatto ma che in quanto a “trasposizione di romanzo” non aveva nulla a che fare con la genialità con la quale Luca Ronconi ci ha abituati a questo genere. La puntata da Vespa forse c’è stata o forse no, ma nelle trasmissioni che si guardano più volentieri le declinazioni di Gomorra sono passate irresistibilmente. Manca la fiction… che dio ce la mandi buona e con la destra al governo speriamo che al suo posto si faccia finalmente quella benedetta serie su Federico Barbarossa che tanto voleva la Lega. Ma in tutta questa sovreccitazione camorristica una cosa c’è che si distingue. E forse il merito è quello di aver percorso all’inverso l’iter di semplificazione ormai divenuto imprescindibile per venire incontro all’italiano che si pretende mentecatto. Morra, di Teatro Labrys, una giovane realtà di Frosinone, attenta ai problemi del contemporaneo, è uno spettacolo che senza aver nulla a che fare con la rosa di storie composte da Saviano, affronta il problema della camorra attraverso la Commedia dell’Arte. Non dunque una semplificazione della forma letteraria, ma il rilancio in una struttura ancora più complessa, quella della maschera, ossia dello strumento fondante del teatro e dell’archetipo tragico. Sul palcoscenico fa la sua comparsa una volta di più, con addosso tutta la stanchezza dei secoli e la saggezza, Pulcinella. Si presenta in modo brillante, ma è chiaro che sta fingendo, che sta facendo finta di niente, sta cercando di passare sopra a quell’imbarazzo iniziale che si prova quando qualcuno torna dopo così tanto tempo che ormai sembra uno straniero. Pulcinella scherza, sorride, il suo compito, il suo mestiere, è da sempre quello di ridurre la distanza fra sé e il pubblico. E allora comincia a raccontare e la sua maschera cava, nera, si rivela un abisso infinitamente più profondo di quanto non lo siano altre maschere, quelle dei giovani mafiosi, del sarto che lavora coi cinesi, dell’impresario della monnezza già pluri-raccontate. Nella sua espressione immobile c’è tutta la tremula complessità dell’immagine allo specchio, dell’occhio controverso del testimone. Tra il pubblico molta gente ride, qualcuno anche sguaiatamente. Dalle ristate del pubblico si riconosce addirittura chi vede le fiction e chi non le vede. Sono risate diverse. Risate di testimoni diversi. Per qualcuno la storiella raccontata dal narratore ante litteram è un aneddoto arricchito da infiniti lazzi. Per altri la questione è seria e provocatoria e anche i lazzi arrivano per allontanare la mannaia un secondo prima che la domanda si formuli completamente e dica: «Quanto credi che tutto questo sia lontano da te?», «Quanto credi che sia di fantasia il “villaggio dei puffi”( è il nome reale di uno dei quartieri periferici di Napoli)?», «Quanti chilometri di distanza ci sono tra le case popolari della città giardino di Garbatella e quelle delle vele di Scampia?». Pulcinella dice che c’è arrivato a piedi fino al palcoscenico su cui ora salta e balla. Ci ha messo dieci ore. A piedi. e con |