La locandina del
La locandina del "Dialog Festival" di Ladispoli
Bambini in un campo rom
Bambini in un campo rom

Anno 1 Numero 22 Del 9 - 6 - 2008
L’esperienza sul “campo”
Dialogo con Martin Clausen e Vania Mancini, ideatori di Dialog Festival e di Chèjà Celen

Mariateresa Surianello
 
Mentre Dialog Festival si sta svolgendo in diversi luoghi di Ladispoli (ne diamo conto in un altro articolo di questo numero della Differenza), incontriamo Martin Clausen dell’associazione Le Sirene, ideatore e curatore di questa tappa conclusiva della terza edizione della manifestazione importata a Roma e provincia dall’originale berlinese, e Vania Mancini, impegnata in prima linea come ideatrice e curatrice del gruppo di danza Chèjà Celen, straordinario esito di un quindicennio di lavoro nel campo Rom di via Cesare Lombroso, a Roma. Reso possibile dal finanziamento della Provincia di Roma, l’approdo del festival a Ladispoli ha aperto – come recita il titolo – il dialogo con una città molto particolare, in cui il fenomeno del pendolarismo dei lavoratori si sovrappone a quello dell’immigrazione, mostrando uno dei tassi più alti della provincia romana. In questo territorio multietnico, «vorremmo continuare a lavorare – dice Clausen – per promuovere la comprensione reciproca, attraverso la cultura, danza, musica, teatro, letteratura».

Nelle ultime settimane si è verificata una recrudescenza dell’intolleranza verso tutti gli immigrati nel nostro Paese a cominciare dai rumeni. Ma, in particolare, è partita una crociata contro le comunità Rom, avete avvertito questo cambiamento di clima e come avete modificato il vostro operare sul territorio?
M. C.:Con le antennine degli artisti, avevamo avvertito dei segnali preoccupanti e così abbiamo deciso di invitare già a dicembre (a Frascati, per la prima tappa della terza edizione di Dialog, ndr) il gruppo di ragazze del campo Rom di via Cesare Lombroso, che è poi tornato ad aprile a Ostia (seconda tappa, svoltasi al Teatro del Lido, ndr). Come associazione Le Sirene, insieme con il presidente Maurizio Bartolucci, abbiamo reagito a questo clima xenofobo aumentando il sostegno al gruppo di danza. Forse, con un’aria diversa me ne sarei occupato meno. Ora invece stiamo cercando di portare queste ragazze a Berlino, per il Dialog Festival che lì si svolge da quindici anni. Per farle partire con questo invito al festival, si può tentare di dar loro un documento. Sono tutte dei sans papier, anche se sono nate a Roma, i loro genitori erano fuggiti dalla ex Jugoslavia durate la guerra. Per le istituzioni italiane queste sono delle non persone.
V.M.:Abbiamo intensificato il nostro operato sul territorio e anche i Rom hanno aumentato il loro impegno. Per la prima volta hanno voluto indire una manifestazione, a Roma per domenica 8 giugno. In tutta Italia, le comunità sono molto preoccupate, perché vivono sulla loro pelle questo cambiamento politico. In parte, si tratta di spauracchio, tante espulsioni sono impossibili, molte comunità sono inespellibili, sia perché sono composte da persone nate in Italia, sia perché non esiste un paese d’origine che li riprenderebbe. Questo è il caso delle comunità della ex Jugoslavia, dove sono andate bruciate le anagrafi. Figli e nipoti di chi è scappato aspettano la cittadinanza italiana.

Il gruppo Chèjà Celen comincia ad avere una visibilità, come nasce quest’esperienza?
M.C.:Il laboratorio è nato nelle scuole all’epoca di Rutelli ed è proseguito con Veltroni, ora è messo fortemente in discussione dalla nuova giunta di Alemanno. All’inizio è stato un incentivo alla scolarizzazione, poi ha portato fuori dal campo, alla visione di tutti, una danza tradizionale, tramandata da madre in figlia.
V.M.:Il gruppo di danza è nato attraverso i laboratori realizzati in venti scuole di Torrevecchia e Primavalle a Monte Mario, frequentate dai minori del campo di via Cesare Lombroso. E’ nato per aiutare le ragazze a frequentare più volentieri le scuole, per creare un’accoglienza. Chèjà Celen in italiano si traduce ragazze nubili che danzano, un nome che hanno scelto loro. E le frequenze scolastiche sono aumentate, le ragazze si sentivano accolte, non si vergognavano di essere zingare, anzi erano orgogliose, perché abbiamo evidenziato alcuni tratti della loro cultura, le danze e le musiche. Bambine e ragazze diventavano un arricchimento per la scuola. Ora dalle scuole siamo passate ai teatri, ci invitano al Dialog di Berlino e anche in Francia. Le mamme all’inizio non volevano che le ragazze uscissero dal campo, ora invece ci cercano.

A Ladispoli com’è la situazione, le famiglie dei bambini che frequentano la scuola dove svolgete parte del programma sono sensibili alle tematiche della convivenza e dell’integrazione?

M.C.:Sia a Frascati, sia ora a Ladispoli interagiamo con le realtà sociali e culturali. La scuola elementare dove stiamo lavorando ha 1800 allievi di 55 etnie diverse. Il 60% degli alunni sono immigrati e le famiglie sono molto sensibili all’integrazione. Nella scuola, da più di dieci anni organizzano un festival interculturale, per mettere in relazione le diverse culture dei bambini. Dialog è stato accolto con molto favore, ci siamo gemellati con questo loro festival.

Attività come le vostre riescono ad arrivare a persone che non sono ancora sensibili allo scambio interculturale, all’incontro con culture diverse?
M.C:Penso di sì, a Ostia il pubblico del Dialog Festival è molto eterogeneo (come lo è in generale il pubblico del Teatro del Lido). Non è il solito pubblico che frequenta i teatri. Sono persone “normali”, spesso sono i pendolari, come qui a Ladispoli, che la mattina vanno a Roma a lavorare e tornano la sera alle 8. E’ impossibile che possano tornare in città di nuovo, la sera alle 9, per andare nei teatri romani. Il bacino di utenza è molto misto, eterogeneo per età, reddito, educazione.

Proporre un progetto come questo, con una forte spinta alla conoscenza reciproca e alla convivenza, in questo momento è controcorrente. Continuerete a rafforzare questa vostra idea di Dialog?
M.C.:Ci rendiamo conto che stiamo cantando fuori dal coro. Comunque, proveremo nell’ambito dei teatri di cintura, al Teatro del Lido con Le Sirene, a riproporre il Dialog Festival. Non sappiamo se troveremo una sponda nella nuova amministrazione comunale. Vedremo con le altre amministrazioni (ora è intervenuta con un finanziamento la Provincia di Roma con “Scenari Indipendenti”, ndr), cerchiamo sensibilità e voglia di portare avanti in progetto. Il Teatro del Lido è rimasto sotto la direzione dell’Assessorato alla Cultura del Campidoglio, al contrario di altri tetri di cintura che sono stati assimilati ai Teatri di Roma. Non sappiamo che fine faremo anche come associazione che cogestisce la direzione artistica.
V.M.:Come Arci Solidarietrà Lazio ci occupiamo da quindici anni dei Rom. La nuova amministrazione comunale deve capire che è importante il dialogo. Vorremmo incontrare il sindaco Alemanno e raccontargli che i progetti di scolarizzazione hanno funzionato, molte famiglie hanno cambiato stile di vita. I Rom oggi frequentano anche le scuole medie e superiori, quindici anni fa era impensabile. I Rom andavano solo alle elementari. Di conseguenza c’è stato un percorso di emancipazione delle donne, le ragazze sono uscite dal campo per partecipare ai laboratori sul diritto all’espressione, ai gruppi di danze etniche e sono entrate nelle Chèjà Celen. Nel campo di via Cesare Lombroso è stata eletta una rappresentante portavoce del campo, una donna, Umiza Halilovic – senza documenti, dopo 36 anni che vive a Roma, come i suoi figli e nipoti. Tutti inespellibili, perché la Bosnia non li riconosce. La nuova legge non prende in considerazione questi casi. Noi proseguiamo il dialogo, per il 20 giugno abbiamo programmato una serata nel campo di via Cesare Lombroso, nel corso della quale saranno proiettati due cortometraggi, quello sulle Chèjà Celen di Paolo Grassini e Treni strettamente riservati di Emanuele Scaringi (prodotto da Fandango con il Parlamento europeo per l’anno europeo del dialogo interculturale, ndr). Abbiamo invitato anche il sindaco Alemanno. Venite a vedere come le donne Rom curano il loro campo... è diventato un roseto.


Il documentario Chèjà Celen è tratto dal libro di Vania Mancini Chèjà Celen. Ragazze che ballano, edito da Sensibili alle foglie nel 2007.