Anno 3 Numero 03 - 01.03.2011 |
Anno 1 Numero 23 Del 16 - 6 - 2008 |
Tra Rinascimento e Risorgimento |
Editoriale |
Gian Maria Tosatti |
L’Italia è unica e indivisibile. Parole sante. E ripetute molte volte in questi anni. Ma poi? Non è che sia proprio così. L’Italia non è unica affatto e forse è un bene visto che dalle diversità viene ricchezza di contenuti. E se l’Italia non è unica allora divisa lo è già certamente. E’ vero per molte cose, per il mondo del lavoro, per quello della politica, del cinema e finanche (per quanto politicamente scorretto sia dirlo) della rosa delle mentalità. L’Italia resta indissolubilmente legata al suo impianto pre-risorgimentale, fatto di regioni, macroregioni, città stato, signorie e aree d’influenza. E di questa geografia una cosa che sembra chiara è una certa incomunicabilità nei diversi gradi e piani del confronto. Qui proviamo a parlare di teatro e specificamente di quello che si definisce “istituzionale”, ma per farlo proviamo ad usare una pietra di paragone del tutto particolare, ma funzionale ad un discorso di respiro più ampio. Come modello, infatti, si valuteranno i primissimi passi di un esperimento in itinere che la nostra redazione sta seguendo molto da vicino. Nel settembre dello scorso anno, in una Napoli ancora invasa dal sole estivo, si celebrava il prologo del Teatro Festival Italia. In quell’occasione gli artisti che da anni gestiscono il Damm, spazio occupato di grande vivacità culturale, convocarono un pugno di operatori nazionali che con quella realtà avevano parentele di obiettivi, di pratiche, d’intenti. Nella sala all’ultimo piano della struttura sedevano allora organizzatori provenienti da Roma, Milano, Rimini, Napoli, Terni. Ognuno responsabile di una realtà di fatto diversa dalle altre, ma legata alle pratiche del contemporaneo. Festival, centri culturali, teatri veri e propri. Si rivelava una rosa complessa ricca di potenzialità. Allora molti di questi operatori si incontravano per la prima volta. Avevano condiviso scelte artistiche, avevano ospitato compagnie attraverso le quali erano entrati in contatto come accadeva nel medioevo, incontravano le stesse difficoltà organizzative ed economiche, ma non si erano mai parlati. Non che fossero gli ultimi arrivati. Più di qualcuno vantava una decina d’anni di attività alle spalle, ma l’Italietta alla fine pare che sia sufficientemente grande perché ci si perda dentro e si finisca per non alzare la testa dal proprio territorio. A quell’incontro, che prese il nome di Indipendenz dei partecipò anche la direzione del Teatro Festival Italia che s’impegnò a rilanciare per la prima edizione l’iniziativa in modo più ricco ed articolato. Poi si sa come vanno le cose e in questi giorni, mentre a Napoli si sta regolarmente svolgendo il festivalone invisibile senza che ci si sia ricordati delle vecchie promesse, l’eredità di quell’incontro la raccoglie una rassegna assai più piccola, ma non in qualità, che dista dal capoluogo partenopeo circa cinquecento chilometri e sembra appunto che stia dentro un’altra Italia. Indipendenz dei 3 si svolgerà infatti a Cesena il 29 giugno, all’interno di Itinerario festival in una forma “auto-organizzata”. Ma non è un problema, anzi, semmai un punto di forza, capace di testimoniare la solidità delle motivazioni di questo gruppo di strutture che va via via allargandosi.
Bisogna a questo punto ricordare che tra il primo e il terzo incontro ce n’è stato un secondo. Organizzato a Roma, grazie al sostegno del progetto Scenari Indipendenti, costola fondamentale di Teatri nella Rete. Era il 15 dicembre scorso e al Teatro Palladium il numero delle strutture che si presentarono (a prescindere da quelle formalmente invitate) era almeno triplicato rispetto a Napoli. Si sedettero al tavolo della discussione rappresentanti di realtà lontanissime dalla capitale, ma che intuirono il senso di quell’iniziativa da cui emersero tre punti centrali: necessità di conoscersi per poter interagire, costituzione di un’agenda di priorità politiche da suggerire alle istituzioni per migliorare il loro impatto sulla promozione culturale e costituzione di piccole reti zonali con un referente che si sarebbe confrontato con l’assemblea nazionale. Tutto questo con quali obiettivi? Semplicemente per migliorare le proprie possibilità di intervento. Realizzare progetti insieme condividendo e “dividendosi”, eventualmente, i pesi da sostenere, condividere pratiche innovative di organizzazione, conoscere realtà artistiche che non avevano mai viaggiato oltre i loro confini territoriali. Questo per fare un “nuovo teatro nazionale”. La parola chiave di tutto questo è “interregionalità”, che si legge “moltiplicazione di opportunità”. Giacché è evidente che per molti artisti il problema resta quello di farsi conoscere al di fuori delle loro città. Ma, per quelli di talento (vedi un Daniele Timpano a caso), quando capita, il passo, a divorare la penisola, è breve. Capitare capita, ma come sempre in Italia, non è che la cosa sia frutto di una pianificazione e i “sommersi e i salvati” finiscono per essere rispettivamente benedetti o vittime del caso e delle circostanze. In questo numero speciale de La differenza, che chiude il trittico di riflessioni sull’intervento dell’Eti all’interno del progetto Teatri nella Rete promosso dalla Regione Lazio nell’ambito del patto Stato-Regioni, ci occupiamo principalmente di interregionalità e interterritorialità. Cerchiamo di fotografare cos’è stato fatto in un intervento che ha comunque messo in relazione, ad esempio, la regione promotrice con il Piemonte e con la Campania (di questa parte abbiamo parlato nel primo dei tre speciali.
I tentativi sono ancora timidi, non foss’altro perché sono i primi di un triennio. La direzione tuttavia è giusta. Mettere in relazione i territori significa aprire sistemi che a volte soffrono una certa chiusura ed incentivare la reciproca conoscenza tra operatori ed artisti la cui resistibile distanza spesso è solo chilometrica. E’ vero per le strutture indipendenti che per motivi anche economici faticano a viaggiare come per le strutture più istituzionali che da diversi anni si dimostrano poco amanti dei treni. Ma è vero anche che quando queste frontiere interregionali si sono infrante, com’è accaduto negli anni scorsi fra Roma e Castiglioncello, i risultati sono stati eccellenti e hanno lanciato la volata a stagioni di grande fermento artistico.
Ragionare in modo interregionale in Italia non è una novità, ma non è un sistema. Chi lo ha tentato e ne ha raccolto i risultati è stato premiato per la sua voglia di rischiare, di innovare e anche d’innamorarsi di qualcosa che non era a portata di braccio. Oggi, con l’Eti e le regioni è possibile fare sì che anche le istituzioni premino ed incentivino queste pratiche in modo attento e puntuale. In questi ultimi anni nella capitale, anche grazie ad una fortunata combinazione di partnership interregonali, si è parlato di Rinascimento romano. Noi ci auguriamo che allo stesso modo, allargando il ragionamento ai palcoscenici compresi tra l’Alto Adige e la Sicilia si cominci anche a parlare al più presto di Risorgimento italiano.
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