Il manifesto dell'edizione 2008 del festival
Il manifesto dell'edizione 2008 del festival
Una veduta di Santarcangelo
Una veduta di Santarcangelo

Potere senza potere
Pratiche e possibilità di rinascita a Santarcangelo 08

Lorenzo Donati
 
Cenni per una (triste) storia recente
Santarcangelo è probabilmente il festival a cui è legata la maggiore densità di storia nell'area del teatro di ricerca. Dagli anni della sua nascita, infatti, si è posto come cartina tornasole di un movimento più ampio, riflettendo prima di tutto le tensioni delle arti sceniche della penisola, ma anche affondando lo sguardo sui sommovimenti dell'intera società. Espressioni come teatro politico, autoformazione, terzo teatro sono da subito entrate nel vocabolario del festival, che ha saputo tra l'altro impostare una sorta di modello per molti festival italiani. Non è un caso, infatti, che l'idea di “cittadella del teatro” nasca proprio a Santarcangelo a cavallo fra anni '70 e '80, come non è un caso che sia diventato normale attribuire al festival il nome del paese che lo ospita. Eppure questa stessa tradizione del festival, in tempi di drammatica ricerca di identità di tutte le arti sceniche, rischia di diventare un peso: anziché un inevitabile confronto, quella che si avverte spesso è solo molta confusione. Ci sono infatti alcune questioni di fondo che probabilmente esigono un ripensamento radicale delle categorie del passato: quale è il senso di un festival? Quale legame ricercare con il territorio? In che modo relazionarsi al complesso del sistema teatrale? E, più di tutto, siamo sicuri della necessità odierna del formato festivaliero? Probabilmente chiunque si confronti oggi con una direzione artistica, non può sottrarsi al tentativo di indicare volta per volta alcune possibili risposte. A maggior ragione a Santarcangelo, dove però il dramma degli ultimi anni ha segnalato, appunto, vecchi schemi e troppo facili soluzioni, in cui doverosa appare la necessità di una generale assunzione di responsabilità: “tutti colpevoli”, da consigli di amministrazione troppo dediti all'inseguimento di audience e mode, a enti locali fermi a una generica concezione di “teatro di piazza” (come fosse possibile con un balzo restaurare il clima degli anni '70), a direzioni artistiche che non hanno saputo inventare progetti culturali forti, trincerandosi dietro a elitarismi che si presumono al riparo da critiche per il semplice fatto di inseguire un generico “contemporaneo” tutto da verificare. Olivier Bouin era stato chiamato nel 2006, tramite un bando pubblico che ha sollevato non poche critiche di scarsa trasparenza. Oltre all'intento di appianare un pesante buco di bilancio, aveva evidentemente convinto l'intento di una linea curatoriale aperta a varie tensioni della ricerca artistica contemporanea, veicolata da una figura che prometteva grandi sinergie internazionali affiancata dalla presenza di Paolo Ruffini. Ma lo stile manageriale di Bouin ha finito per scontentare tutti: gli enti locali, preoccupati dal calo del pubblico; i dipendenti storici del festival, molti dei quali dimissionari o relegati in ruoli secondari; il pubblico e la critica, entrambi sconcertati per una linea forse eccessivamente performativa, tardivamente e arrogantemente concettuale e ossessivamente autodefinita “transdisciplinare” (come se l'etichetta fosse un'acquisizione originale, dimenticando una “tradizione del nuovo” che nasce almeno con le cantine romane). Arrivano dunque ad aprile le previste dimissioni (Ruffini aveva già abbandonato in autunno), stimolate da un nuovo consiglio di amministrazione che non ha fatto nulla per evitarle.

Potere senza potere
Eccoci dunque a un edizione 2008 “acefala”, con il presidente del Cda Sandro Pascucci a fare le veci di una direzione artistica che non c'è ma della quale, eccettuando gli ospiti internazionali “tagliati”, sono state sostanzialmente rispettate le linee. Ebbene, da edizione di passaggio da disastro annunciato, Santarcangelo 08 sta diventando l'appuntamento da non perdere dell'estate: se la politica, almeno per un anno e per cause di forza maggiore, si fa da parte, se una direzione curatoriale viene meno, ecco che spunta l'idea di una sorta di autogestione promossa da due compagnie, Fanny&Alexander e Teatrino Clandestino, un reale tentativo “d'azione” che non dovrà passare sotto silenzio: senza mire politiche immediate, spinto dalla stessa molla d'invenzione di pratiche organizzative non calate dall'alto che qualche anno fa animò “Prototipo”. Nasce quindi un coordinamento di compagnie, gruppi e individui dal nome emblematico Potere senza potere, alcune concrete proposte che rivelano sul rovescio della medaglia un ripensamento radicale dello “spazio pubblico” di un festival: “Rilascio lento”, in cui si chiede a personalità della cultura di riflettere sul ruolo di Santarcangelo e dei festival, dieci minuti a testa nelle strade del paese prima dell'inizio degli spettacoli; “Incontrare”, l'invito rivolto alle compagnie ad abitare gli spazi delle repliche aprendoli al pubblico nelle forme che si vorranno; “Nero su Bianco”, che mira a ridiscutere la presenza di un pensiero critico durante la rassegna, ridefinendo anche l'idea di “Giornale del festival”, sviluppato con la direzione Castiglioni e segnato dall'instancabile sprone pedagogico di Massimo Marino, ma troppo spesso disturbato da ingerenze anche interne che ne hanno in alcuni casi minato l'indipendenza e incrinato il rapporto con i lettori. A uno spazio di proiezione di video inediti di alcuni gruppi della scena italiana (“In differita”), si affianca infine il cuore della proposta, che reca lo stesso nome del coordinamento, in cui compagnie, operatori, critici, studiosi sono invitati a lasciare un loro segno nella giornata del 13 luglio, che vedrà alternarsi pensieri e interventi a partire dalle 18 nella piazza di Santarcangelo. Il documento del coordinamento sta in questi giorni girando via mail, ed è aperto a proposte e contributi, mentre il calendario definitivo delle incursioni sarà reso noto qualche giorno prima del 10 luglio.

Non ci sono soluzioni immediate
Ma allora è forse partendo da questo evento auto-organizzato che si potrebbe abbozzare qualche linea per ripensare il senso di un festival. La storia del teatro italiano ci dice che un festival come quello romagnolo è percepito come evento che imposta una condizione festiva, un tempo “altro” che si distingue per l’alta concentrazione di spettacoli, un marcato rapporto col territorio, una forte densità di incontri (fra artisti e pubblico o nella forma mediata di dibattiti e presentazioni). I festival nascono anche come sponda a un sistema che, è cosa nota, si è dimostrato impermeabile al nuovo:  dai festival dovrebbe venire uno sprone per le stagioni invernali, sia per gli operatori sia per il pubblico. Se le prime condizioni appaiono ancora da sostenere, forse è da rivedere l'idea di una rassegna estiva come stimolo per il circuito teatrale invernale. I festival, negli ultimi anni, si sono tutt’al più configurati come “stagioni di serie b”, circuiti paralleli e di seconda mano assolutamente ignorati dal sistema dei teatri stabili e quindi non in grado di sostenere (da soli) una seria distribuzione. Eppure, nonostante tutto, qualcosa potrebbe muoversi. Per esempio l'investimento produttivo di alcune realtà festivaliere ha assunto un certo peso, provando a spostare almeno in parte gli equilibri del sistema. La pratica delle residenze, a patto di evitare scelte di quantità utili solo a racimolare risorse e a fagocitare nuovi gruppi, può divenire un valore di differenza tipico delle stagioni invernali dei festival. Insomma, quella “tradizione del nuovo” prima evocata, potrebbe finalmente trovare lo spazio adeguato proprio grazie al peso (questo sì dovrebbe diventare politico) di alcuni luoghi, sempre che per una volta si mettano al bando appartenenze e “parrocchie” e si agisca in maniera non immediatamente utilitaristica per ritrovare il cambiamento sul lungo corso.
Potere senza potere sembra proprio segnalare questa traiettoria, ripensando direttamente anche un possibile senso della tanto evocata “piazza”: non si tratta di appagare le richieste di un pubblico in cerca di svago o di convogliare un'attenzione generica che ricorda troppo da vicino la massa indifferenziata della tv (le notti bianche delle ultime edizioni, nutrite dagli accorati appelli a un ritorno in piazza degli enti locali, adombrano il sospetto di ritrovarsi i Palmiro Cangini a Santarcangelo), quanto di far incontrare segmenti di società potenzialmente affini, che condividono un impegno e una direzione in campi diversi e che per questo faticano a instaurare un dialogo.

Ovviamente non dobbiamo dimenticare le opere: se nonostante tutto si torna a Santarcangelo, questo lo dobbiamo in primo luogo a quei gruppi che non rinunciano a parlare delle cose del mondo, spostando volta per volta adesioni e passioni estetiche che oggi da sole sembrano non bastare più. Il programma prevede i debutti di Fanny & Alexander (Emerald City, 11-15 a Longiano) e Teatrino Clandestino (Candide, 16-18) prodotti dal festival, e spettacoli tra gli altri di Motus (Ics movimento secondo, 17 e 18) Kinkaleri, Mk, Socìetas Raffaello Sanzio (Buchettino 18-20). Tra le nuove realtà Muta Imago (Lev, 14 e 15), Teodora Castellucci, Simona Bertozzi, Pathosformel (18 e 19 a Mondaino con il nuovo lavoro La più piccola distanza, ma anche i due precedenti spettacoli) Francesca Grilli. Completano il cartellone la sezione per ragazzi, alcuni appuntamenti musicali e la giornata del 19 dedicata al progetto di residenze React!