Anno 3 Numero 03 - 01.03.2011 |
Anno 1 Numero 24 Del 23 - 6 - 2008 |
Controtendenza |
Da festival a struttura, la metamorfosi di Drodesera |
Gian Maria Tosatti |
Che l’Italia sia un paese alla deriva – come scrivono Stella e Rizzo nel loro ultimo libro – forse è un dato di fatto. Ma è anche vero che si può affondare in un modo dignitosissimo, come l’orchestra del Titanic, che rimase immobile a suonare mentre intorno si scatenava l’inferno. E forse proprio questa ostinazione, questa estrema resistenza fuori luogo, ha dato un bagliore di grazia salvifica ad una tragedia epocale. E così, mentre si racconta di loro, archetti alla mano e tasti a correre sotto le dita, sembra quasi che i musicisti non siano affogati o morti assiderati come gli altri. Questo atto – in controtendenza - li ha salvati. La premessa è solo per rendere l’idea di come in una ventura decadente come quella dei festival italiani, si possa invertire la tendenza e, provando a salvarsi dalla catastrofe, forse addirittura rafforzarsi, migliorare. E’ quello che è successo a Drodesera, in Trentino, una manifestazione che per motivi geografici è senz’altro meno centrale di altre, ma che a dispetto di ciò, con grande umiltà e attenzione al lavoro degli artisti, ha girato la boa del ventennale alzando lo spinnaker e rilanciando la sfida col vento in poppa. Poche mosse ragionate ed ecco che un festival all’estremo nord della penisola diventa uno dei cardini nodali del nuovo teatro italiano. La scelta fatta tre anni fa è stata chiara: allargare l’impegno a tutto l’anno producendo, ospitando, assistendo gli artisti da agosto a luglio, per poi portarli al debutto in una finestra di dieci giorni a cavallo tra i due mesi che sanciscono la fine e l’inizio delle loro stagioni. Dodici mesi di lavoro e aria fresca per le realtà ospiti, divise sempre in modo equilibrato fra maestri del teatro contemporaneo e giovani promesse. Dietro c’è una direzione artistica molto precisa, che compie scelte da impresario, senza retoriche “democratiche” che non appartengono all’arte. Risultato? A Dro, festival di ricerca, ci vanno tutti, compresi immigrati e signore che se non fosse agosto porterebbero la pelliccia di visone. E’ un miracolo? No, forse è solo il frutto di un luogo comune, cioè che chi sta in alto ha una posizione di vantaggio sugli altri e vede le cose con maggiore lucidità. Fosse un giovane festival questa analisi sarebbe azzardata, ma dopo un venticinquennio, stare ancora all’avanguardia non può essere frutto del caso. Prova ne sia il fatto che Dro non ospita solo artisti, ma anche progetti, nati altrove e che necessitano di una struttura più forte per continuare ad evolversi, come il caso di AKSè, l’officina di scambio sperimentale di materiali fra artisti di diverse compagnie. E allo stesso modo nella Centrale Fies, sede del Festival si svolge un premio internazionale di performance promosso assieme alla Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Trento. E ancora quest’anno c’è stato Fies Factory One, un progetto da 101 performance in 53 città vincitore del bando Nuove Creatività dell’Eti, e prodotto da Drodesera, che si concluderà ad ottobre in una tre giorni nel paese del Trentino. Attraverso di esso la struttura di Drodesera ha potuto implementare la sua capacità di scegliere alcuni giovani giovani teatranti e danzatori (è stato il caso di Sonia Brunelli, Dewey Dell, Francesca Grilli, Pathosformel e Teatro Sotterraneo) e “tirarli su” aiutandoli nella produzione e nella promozione delle loro opere. E allora a guardare l’edizione di quest’anno, appena presentata, si ha un quadro abbastanza chiaro di quali siano i punti centrali di questa politica vincente. In primo luogo una stabilità direttiva che dà continuità e credibilità agli impegni affrontati, e in secondo luogo una attenzione ai percorsi artistici. Perché se si presentano nuove produzioni come East di Fanny & Alexander, accanto ad esso vengono ospitati anche i passaggi che preludono a tale opera, ossia gli spettacoli precedenti del progetto sul Mago di Oz, Him e Kansas. E in questo si tesse una tela di forti relazioni di senso che aiutano lo spettatore a leggere con chiarezza l’evoluzione della nuova scena. E’ il caso ad esempio di Teatro Valdoca, che il pubblico di Dro ha potuto seguire da vicino nelle ultime edizioni del festival, anno dopo anno, durante la sua fase di trasformazione che ha visto prima gli allievi di Cesare Ronconi, brillare sotto la sua direzione in Imparare è anche bruciare, e oggi splendere di luce propria nel progetto Officina Valdoca che vede Vincenzo Schino presentare in apertura di questa edizione Volià, il suo ultimo lavoro da regista (anche questo affiancato nella stessa giornata da una performance site specific di Ronconi e dalla presentazione del libro + film Paesaggio con fratello rotto). Il resto del programma (che può essere consultato su www.drodesera.it) segue questa impronta con tutte le diverse realtà presenti, che vanno da Santasangre, a Sonia Brunelli, da Teatrino Clandestino a Societas Raffaello Sanzio, da Pathosformel a Dewey Dell. Non resta che andare a vedere. |