Anno 1 Numero 26 Del 7 - 7 - 2008
Good morning Vietnam!
Editoriale

Gian Maria Tosatti
 
Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione), non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre…
Pier Paolo Pasolini

Non si fa in tempo ad aprire una riflessione che ecco la cronaca pronta a scavalcare il pensiero. Avevamo iniziato nell’editoriale della settimana scorsa, e a dir il vero avremmo volentieri ivi concluso, un ragionamento sulla P2 e sul ruolo che i suoi vecchi affiliati hanno avuto nell’attuazione del Piano di Rinascita Democratica negli anni successivi allo scioglimento della loggia, ed ecco che un altro dei vecchi amici del signor Gelli si manifesta alla nostra attenzione. E’ Maurizio Costanzo, che dopo aver fatto l’Italia più di quanto possa dirsi di Garibaldi e Cavour, deve aver definitivamente deciso di calare l’ultimo scherzo al Bel Paese. D’altra parte anche dalle parti del potere c’è bonaccia da tempo, i cambiamenti veri sono pochi. Così, come Caligola, che annoiato e onnipotente, fece senatore il suo cavallo con buona pace delle toghe attonite, anche l’inventore dei trenini di Buona Domenica si è creato un passatempo. E il nuovo casino di caccia che il conte Costanzo si è fatto costruire nella contea della cultura italiana si trova proprio nella riserva naturale del teatro. E’ lì che da un po’ di tempo scorribanda alla testa di un gruppo di cortigiani che sparano fucilate un po’ a casaccio sostenendo che i fondi statali dovrebbero passare dai teatri pubblici – che producono nel bene o nel male “teatro d’arte” – agli impresari privati, col loro seguito di nani, ballerine e facce da fiction. Un paio di battute clandestine nell’inverno scorso ed ecco che sì, quando Maurizione ha capito che il gioco poteva anche divertirlo, ha fatto in modo di farsi assegnare direttamente un titolo per poter fare i suoi comodi in quel territorio, un po’ esotico e un po’vivace. E così eccolo lì, con le tre calate di spada sulla testa e le spalle, venir nominato consigliere del ministro Bondi per il teatro. Insomma il più scalmanato dei contendenti si ritrova a fare l’arbitro – ovviamente, come accade puntualmente in Italia, senza dover lasciare i propri incarichi e dunque i propri interessi. Ma Costanzo è un giocatore e come tale, quando ha il punto, non ama vedere, preferisce rilanciare ed allora si produce nel suo colpo da maestro: rilascia una intervista che a rileggerla ha una forza immaginifica tale che si fa beffe del Dante Alighieri che china il capo umano di fronte alla indescrivibile grazia divina, e si produce in frasi granitiche che meriterebbero una esegesi degna solo delle sacre scritture. D’altra parte c’è da credere che nessun essere umano che faccia conto sul proprio intelletto, potrebbe pronunciare affermazioni che chiedono a chiunque, per poter essere accolte, un salto di ragione o, in extremis, di fede. Nell’intervista raccolta da Rita Sala, infatti, il primo ragionamento messo in campo è già capace di scuotere le pazienze più salde dei vivi e probabilmente anche di qualche morto. Il teorema, che, come per i successivi, ci impegnamo a riassumere, ma non ci sentiamo di commentare, tende a specificare che la vera creatività italiana si esprime nelle processioni e nelle sagre di paese. Nella sua esposizione c’è modo anche di ammettere che la televisione ha rovinato i dialetti e alfabetizzato le masse ad una lingua artificiale come l’italiano, ma omette che non è proprio questa operazione – compiuta dalla televisione pubblica tra gli anni ’50 e ’60 - ad aver impoverito l’identità popolare, quanto piuttosto la proposizione di modelli privi di valori con cui lui per primo, co-inventore della tv commerciale, ha drogato le generazioni di italiani omologandole al nulla da Canicattì a Trieste, producendo la più debosciata e inutile gioventù che abbia calcato il suolo patrio. Ma poi rialza il tiro cercando una funambolica citazione di Pasolini per dichiararsi pronto a raccoglierne l’eredità. E qui, dopo diversi pericolosi spasimi del lettore, si ferma il primo pensiero del “the Penguin” nostrano.

Per il secondo concetto si va un po’ più nello specialistico. Tra riflessioni sulla propria attività di direttore di innumerevoli teatri, festival, e istituzioni culturali di ogni genere e tipo, e l’aleggiare di minacce legislative, si dichiara che il teatro più vitale ed interessante è quello proposto dalle compagnie amatoriali e che riguardo ai professionisti – stavolta ci tocca citare testualmente perché la nostra prosa sarebbe indegna di cotanto ingegno: «oggi gli attori bravi preferiscono la fiction, perché vengono pagati bene, ricavano dalla televisione una grande popolarità e, per lavorare, non devono muoversi, sono prevalentemente stanziali. Chi spende tempo ed energie, e affronta sacrifici pazzeschi per recitare, sono invece gli attori delle compagnie amatoriali». E così delle due l’una: o chi scrive su questa rivista non ha capito niente ed è meglio che vada a zappare la terra togliendo il posto di lavoro a qualche senegalese o nigeriano con buona pace dei caporali, oppure Costanzo - che comunque in materia dimostra una bruciante ignoranza - ha rilasciato quest’intervista sotto il sole cocente luglio. Grazie al cielo, a salvare il nostro attuale posto di lavoro c’è la cronaca di questi giorni, che ci mostra come ad approdare nelle fiction non siano «gli attori bravi», ma le scollacciate signorine di assai dubbia reputazione che come diceva l’On. Sgarbi (testualmente): «vivono inginocchiate davanti alla poltrona» del politico di turno. Ed infatti nello scandalo intercettazioni che coinvolge il buon Saccà ci finisce anche lui, Costanzo, per due telefonate, del giugno e del settembre 2007, in cui raccomanda due soubrette per altrettante fiction. Basta questo per confutare la tesi esposta nella seconda parte dell’intervista e non ci sarebbe bisogno di entrare nel merito della questione. Ma dato che la cronaca giudiziaria ce lo consente al di là di ogni opinabile considerazione critica, vogliamo prenderci la soddisfazione di affermare, secondo l’evidenza, che le fiction sono dei carrozzoni di gente che non ha studiato recitazione nemmeno per un solo giorno della loro vita, la cui capacità di far immedesimare e sognare una persona che non sia del tutto alienata è pari a quella di un semaforo rotto. E, visto che l’inchiesta coinvolge anche qualche sceneggiatore, vogliamo puntualizzare che dialoghi e strutture narrative sono degne di persone che nella loro vita avrebbero al massimo potuto aspirare ad un ruolo di maestro elementare di provincia qualora si fossero incaponiti a voler bazzicare per forza il mondo delle scienze umane. Senza contare che la scadentissima fiction italiana, imparagonabile a quella degli altri paesi civilizzati, col suo carico di raccomandati, ha letteralmente polverizzato il più bel cinema del mondo, il nostro. E alla luce di tali considerazioni, ci viene spontaneo domandarci quale «bravo attore» preferisca fare le fiction scritte da incapaci e recitate da sgallettate, piuttosto che concedersi alle parole di Shakespeare o di Brecht, diretti da Luca Ronconi o da Virginio Liberti? Ma poi, continuando a girovagare nelle pieghe del pensiero di Costanzo, per un momento ci figuriamo Carmelo Bene che fa Incantesimo e subito ci viene voglia di chiudere qui l’argomento e di passare al terzo concetto dell’intervista.

Con una rievocazione dell’infanzia felice, passata a saltellare e ballettare davanti alla banda di paese, comincia l’ultimo pensiero di Costanzo, che stavolta fa il verso all’Orson Welles di Citizen Kane, quando, arrivato alla senilità dopo una vita di puro potere, muore con tra le labbra il nome del suo slittino, abbandonato assieme all’infanzia povera, tanti anni prima. Ed ecco allora che in un climax di cuore e nostalgia si parla delle bande e degli artigiani che, nelle botteghe dei borghi abruzzesi, fabbricano gli oggetti che i padri di famiglia, anche attori della domenica, andranno ad utilizzare e a straziare nelle loro recite. Loro no, non dovranno soffrire - e questo è l’impegno del Costanzo istituzionale - la bufera di tagli che investe lo spettacolo italiano e che solo in questa settimana ha falcidiato l’Estate Romana neutralizzando i più interessanti progetti artistici capitolini.

Bene, caro Maurizio Costanzo. Dobbiamo proprio ammettere che il tuo ultimo scherzo da prete, il tuo tiro mancino, ci ha veramente, veramente divertiti. E in tutta onestà crediamo che nessun altro genio della comunicazione, né il provocatore Oliviero Toscani né il delirante Seth McFarlane autore dei Griffin, avrebbe pensato di dirla così grossa. Bene, caro Maurizio Costanzo. Hai avuto quel che volevi, ci hai fatto ridere. Adesso dimettiti e lascia lavorare dei professionisti seri, che non hanno nessuna voglia di scherzare.