Anno 3 Numero 03 - 01.03.2011 |
Anno 1 Numero 30 Del 15 - 9 - 2008 |
«Siete lo stesso coinvolti» |
Editoriale |
Gian Maria Tosatti |
«E proprio oggi, quando il Paese è saltato nel futuro
con uno zaino pieno di cadaveri che sgocciola la traccia del suo riconciliato progresso». (Pedro Lemebel) E’ come ce lo raccontano Eduardo in Napoli milionaria o Ascanio Celestini nel suo Radio Clandestina. Dal 1945, in Italia, da quella guerra civile che ha insanguinato la nostra bandiera, nessuno ne vuole sapere più di violenza, di guerra, di fascismo, di marxismo. Tutto si liquida con poche parole. Rapidamente. Quasi come si evita il venditore di rose o il lavavetri. Nel frattempo in Italia un’altra guerra civile c’è stata, disturbando la scostante quiete di oltre un decennio. E forse è per quel chiasso, per quelle bombe che non facevano dormire, per quelle strade interrotte quando si voleva passare, per quelle reciproche accuse lontane migliaia di chilometri dalla zattera (piccolo) borghese su cui l’Italia cercava di galleggiare alla deriva, che oggi le orecchie si sono fatte più chiuse, ancor meno disposte ad attivarsi, gli occhi meno disposti a vedere. E’ così che le persone comuni cercano di sopravvivere, passando sopra, dimenticando, e quando è possibile, facendo finta di non vedere o di non capire. Non è solo un problema italiano. Accade un po’ dappertutto. Tra le strade di Santiago, tra quelle di Sanpietroburgo, provate a chiedere alla portinaia cilena o al commerciante russo degli anni della dittatura, di Pinochet o dell’Urss. E accontentatevi di sentire solo come cambia l’equilibrio del tono quando la loro voce ripeterà la vostra inappropriata domanda. La voce si farà più liscia, tanto da fare scivolare via, nel breve e artificiosamente disinvolto silenzio che segue, quella vostra curiosità da occidentale. Ma se la domanda la fa un connazionale allora la risposta c’è, sbrigativa, liscia sì, ma come uno schiaffo, che gira il viso per guardare altrove. Nessuno vuole ricordare, perché tutti, più o meno hanno sofferto, quelli che si sono fatti venire il torcicollo stando per decenni girati dall’altra parte, fuori dalla storia, e quelli che, invece, hanno visto, tutto, e hanno visto che per molti altri un posto nella storia aveva le dimensioni di due metri per uno, come dicono gli inglesi, six feet under. Come recitava De Andrè in una vecchia canzone, non ci sono assolti, se mai solo coinvolti, quasi tutti loro malgrado, quasi tutti disperati. Eppure non innocenti. Non lo erano allora. Né tantomeno oggi, se fanno di tutto per dimenticare al fine di lenire un dolore che tuttavia convive necessariamente con il crudo insegnamento che la storia ci consegna perché certe cose non accadano mai più, perché ad un certo punto un popolo possa emendare la propria coscienza sporca senza cercare di nasconderla sotto il tappeto del progresso che quotidianamente copre come un lenzuolo mortuario ancora molti ragazzi e molti scempi, pretendendo di negare che l’infezione di un passato possa continuare a stendere il suo ricamo di eruzioni sul presente. Qualche mese fa stilavamo, in un editoriale, la lunga fila delle aggressioni neo-fasciste che si sono consumate nella sola città di Roma negli ultimissimi anni. Un numero impressionante, un rosario di lame, di sangue e di sacrificati che ad ogni nuova recita indebolisce la nostra fede nello Stato e prima di tutto nel suo corpo di uomini e coscienze. La politica, ha preferito passarci sopra, confondendo, col determinante aiuto della stampa, le aggressioni armate con le risse da ubriachi, contro l’evidenza e le grida di migliaia di testimoni, preoccupandosi di far sparire, con la massima cura, dalle descrizioni quei simboli proibiti dalla legge, ma mai puniti, tatuati, esibiti, sventolati. Per chi si accontenta della versione ufficiale allora è solo delinquenza comune che tuttavia è immune alla militarizzazione delle strade. Per chi si lascia sfuggire che sì, è stata un’aggessione politica, invece, non è che una fastidiosa coda di quegli anni ’70… «Sì, è sempre la solita storia tra fascisti e comunisti. Sai quante ne ho viste trent’anni fa…». Ma, invece, non è così. Perché ormai da tantissimi, troppi anni la guerra civile in Italia è finita. E le aggressioni sono unilaterali, espressione di una cultura che fa della violenza un esercizio di esistenza e che, incubata negli spazi concessi dalla politica veltroniana dell’equidistanza (ma è di questi giorni anche la riapertura del centro sociale “Cuore nero” nella “forzista” Milano), è tentata di venire allo scoperto con maggiore coraggio quando sente un ministro della Repubblica omaggiare di fronte al Capo dello Stato i soldati di Salò (costringendo poi quest’ultimo a dichiarare amaramente che riconoscere i valori della costituzione è ancora un obiettivo da raggiungere per molti cittadini di questo Paese). Non è strano che ciò accada in Italia, dove si muore senza un perché, dove a più di trent’anni nessuno ha ancora chiesto veramente conto dell’omicidio di Pier Paolo Pasolini, un omicidio con dei responsabili, ma senza responsabilità, come quello di Renato Biagetti e quelli possibili delle decine di ragazzi di sinistra, pacifisti, che in strada, giorno dopo giorno si salvano dalle coltellate come funamboli sul filo del rasoio. In questi ultimi giorni il presidente della camera e leader di An, Gianfranco Fini, ha fatto un ulteriore passo importante dichiarando che la destra democratica deve necessariamente riconoscersi nei valori dell’antifascismo. Ma per quel che riguarda la destra “non-democratica”, costituita da squadracce sempre più attive e sostenuta dalla (in)tolleranza ignorante dei nostri molti vicini di casa, per quel che riguarda questa destra che giornalmente affigge manifesti in zone sempre nuove delle città, gira armata per le strade, aggredisce, sviluppa rappresentanze politiche e saluta “romanamente”, macchiandosi di reati comuni e di reati costituzionali, per quel che riguarda questa destra che è un fenomeno criminale impunito che conta molti militanti e moltissimi testimoni distratti? Per quanto ancora saremo disposti a far finta che non esista nascondendola sotto il tappeto come la nostra coscienza sporca? |