Anno 3 Numero 03 - 01.03.2011 |
Anno 1 Numero 35 Del 20 - 10 - 2008 |
Quale razzismo? |
Editoriale |
Gian Maria Tosatti |
A Parma, un gruppo di vigili urbani, per motivi d’ordinaria amministrazione, pesta a sangue, in pieno centro e davanti a testimoni, un ragazzo ghanese, umiliandolo e lasciandogli lesioni gravi ad un occhio. A Roma, una donna somala, questa volta senza testimoni, viene segregata nuda per ore in aeroporto. A Varese una ragazza marocchina di sedici anni viene aggredita in un autobus da sette coetanei e coetanee, perché occupava un posto «riservato agli italiani» (così si sono giustificati i ragazzi agli inquirenti) creando un caso che, nella sua drammaticità, finisce per parodiare lo storico gesto di Rosa Parks che nell’Alabama del 1955 si rifiutò di alzarsi da un posto (allora per legge) «riservato ai bianchi». E poi c’è ancora molto e una spicciolata di aggressioni ai cinesi. Tutta roba d’attualità. Tre o quattro settimane di ordinaria follia, in cui l’Italia si scopre un paese razzista. Di colpo. Senza avvisaglie. Inspiegabilmente. Ma se si allarga un po’ lo spettro della ricerca e ci si comincia a riferire all’intero stato di salute della nostra società, alcuni elementi iniziano a collegarsi e a chiarirsi. E dietro l’abbaglio del razzismo, appare un fenomeno con radici assai più profonde. La dinamica innescatasi negli ultimi giorni allude, infatti, ad una impasse interna alla comunità sociale, privata di una prospettiva di sviluppo dopo l’esplosione di una crisi economica che, per quanto rapida nella sua detonazione, aveva da tempo annunciato il suo passaggio attraverso il tema della decrescita. Da qualche anno gli economisti di tutto il mondo concordano sul fatto che si sia raggiunto un punto limite dello sviluppo e che la nuova forma dell’economia dovrà necessariamente orientarsi alla gestione di un equilibrio semistatico. Il crollo di Wall Street in questo senso è stato semplicemente lo scossone che il treno del capitalismo ha avvertito nella frenata. Niente dunque che non fosse calcolato, non fosse nell’aria da tempo. Eppure non si può dire che ciò non abbia mietuto vittime. L’attrito della frenata ha prodotto una profonda lacerazione sulla superficie del globo economico, un baratro che ha bruciato miliardi di dollari provenienti dagli investimenti di grandi gruppi bancari, ma anche di medi risparmiatori. Dall’altra parte, la crisi ha portato ad una caduta degli istituti di credito e dunque ad una maggiore difficoltà a far circolare liquidità nei mercati non solo finanziari. Più difficile, dunque, investire, più difficile ottenere crediti e più difficile tirare avanti con le rate del mutuo a tasso variabile che già da qualche mese aveva iniziato a schizzare alle stelle. Insomma, i soldi (ossia l’unico valore culturale contemporaneo occidentale) sono diventati pericolosi. La società che su di essi aveva costruito la propria struttura ha avvertito la scossa ed ora è “sotto botta”. E come tutti gli organismi viventi inizia seguire una dinamica primitiva che negli esseri umani è facilmente riconoscibile nella fase infantile, ossia la lotta per la sopravvivenza, in cui i più forti cercano di stare a galla affondando i più deboli. Il razzismo di questi giorni, dunque, non è altro che questo, la reazione di una società in panne, in cui i gruppi proporzionalmente meglio posizionati cercano di sopravvivere facendo valere la propria forza sulle fasce più deboli ed esposte. Una reazione sproporzionata, da animale ferito, che ben si esemplifica nella vicenda dell’uccisione di Abdul a Milano, in cui un giovane cittadino italiano di colore, reo di aver rubato un pacchetto di biscotti, viene di contro ucciso a sprangate da due baristi. Un atto di razzismo, certamente, ma sociale, non xenofobo. Disperato, sicuramente, giacché gli stessi carnefici appartengono ad una fascia relativamente debole. Come i vigili urbani di Parma, come i fascistelli che picchiano i cinesi, ma come anche i giovani di buona famiglia che hanno aggredito la marocchina sull’autobus. Ragazzi benestanti del varesotto che lentamente dovranno rivedere al ribasso i propri standard di vita in funzione della maggiore difficoltà che i genitori avranno ad allargare i cordoni della borsa. Vittime, sicuramente, ma anche carnefici laddove possibile. Una dinamica questa che, tuttavia, non si ferma alla disperazione del privato cittadino, ma addirittura si istituzionalizza nel caso del salvataggio degli istituti di credito mediante i soldi dei contribuenti. Sono, infatti, i cittadini, fino a ieri sfruttati e ridotti sul lastrico dalle banche, a doverne pagare il salvataggio perché domani esse possano riprendere il loro sfruttamento di routine. Un’iperbole che nel momento in cui viene imposta dagli organi di governo di tutto il mondo e dunque subìta dai cittadini che devono conformarsi alla legge, diventa una violenza antidemocratica dei poteri forti verso i piccoli poteri, un atto di razzismo sociale decisamente equiparabile agli altri citati in precedenza. Vista in questa prospettiva la situazione non è dunque così esotica. L’esplosione di razzismo di questi giorni non è frutto di una coincidenza astrale. E’ la legge che regola il mondo. Si chiama “sopraffazione”. I più forti, quando hanno fame mangiano i più deboli. E i più deboli si lasciano mangiare perché quello è il loro posto nell’ordine delle cose. |