Anno 3 Numero 03 - 01.03.2011 |
Anno 1 Numero 37 Del 3 - 11 - 2008 |
Una nuova cultura popolare dell’abitare |
Presentato il catalogo de “L’Italia cerca casa – Housing Italy”, padiglione italiano alla biennale |
Gian Maria Tosatti |
C’è un dialogo sottile che unisce l’IX Mostra Internazionale d’Architettura alla Biennale di Venezia curata da Aaron Betsky e il Padiglione Italiano di Francesco Garofalo intitolato L’Italia cerca casa – Housing Italy. Quel dialogo, lo ricorda Francesco Prosperetti, direttore generale della Parc, è costituito dalla necessità universale di “sentirsi a casa”. E’ da questo collegamento che si instaura un interessante rapporto di reciprocità fra gli interrogativi lanciati dai due curatori e che lo stesso Prosperetti rilancia nella introduzione alla ricerca italiana, confluita in una pubblicazione edita da Electa (in uscita in questi giorni), domandandosi se ormai il mondo dell’architettura, che sembra riconoscersi solo nelle opere di grande visibilità, non esaurisca in esse la sua attuale identità dimenticando il proprio ruolo nell’assetto urbano e in quello abitativo. E’ ovviamente un paradosso dialettico questo, lo dimostrano millenni di storia in cui torri o grandi monumenti, costruiti come lustro cittadino, convivevano con un ragionato ordine urbanistico mai privo di profonde implicazioni antropologiche. Un modello di equilibrio nella pianificazione dell’habitat che tuttavia in Italia sembra essere entrato in crisi. Nelle pagine che riassumono la ricerca guidata dalla co-curatrice Maristella Casciato, focalizzata sullo sviluppo del social-housing italiano tra il 1930 e il 1980, tale deriva è assai ben fotografata e pare disegnarsi in una curva costantemente crescente su un ipotetico grafico. A mancare, nell’attento resoconto, sono però le cause di questa progressiva impennata, ma esse, essendo arcinote, emergono ugualmente restando una cupa latenza a tutta la lettura, che attraversa l’ottimismo costruttivo delle città giardino fino al crollo delle utopie dei quartieri degli anni ’70. Su questo piano del passato (anche se assai recente) si inserisce il focus sul presente realizzato da Giovanni Caudo assieme a Maki Gherzi e al gruppo Kalimera fotografando in tempo reale un fenomeno che proprio mentre veniva fissato sulla carta dai curatori si preparava ad esplodere assieme alla crisi americana. Crisi che in Italia non poteva non ripercuotersi se, come si legge nel libro, il debito totale delle famiglie italiane, ammontante a 300 miliardi di euro, è impegnato per l’83% da mutui (250 miliardi). Una bolla economica che non poteva non portare alla ribalta un concetto, come quello del social-housing, divenuto sempre più pressante in un paese (l’unico in Europa) che, di fatto, ha lasciato al mercato dei privati l’unica voce in capitolo. Il futuro dunque avrà il compito di risolvere quella che oggi è una emergenza trasversale penetrata nelle diversissime pieghe di una società in trasformazione, dai cittadini esclusi dalle città a quelli che ne abitano abusivamente le rovine. La questione dunque si fa complessa e finisce per integrare aspetti urbanistici con questioni legate ai flussi migratori e alle conseguenze di molteplici variabili internazionali, prima fra tutte quella ambientale. Garofalo in una parola cerca dunque di riaprire il tema di “casa popolare” per ribaltarlo e renderlo maggiormente rispondente ad una situazione che lamenta uno scollamento almeno ventennale con l’ultimo baluardo di idea di pianificazione pubblica a riguardo. E’ dunque il concetto stesso di casa popolare ad essere tanto distante nel tempo da non trovare più immediati riferimenti nell’esistente. Per questo motivo riaffrontarlo significa rifondarlo. E’ lo stesso curatore che spiega: «L’italia cerca casa mette alla prova la cultura architettonica italiana nella sfida posta dalla domanda di abitazioni di qualità e a costi accessibili. La fine dell’edilizia popolare, la crisi del mercato dei mutui, le situazioni di disagio urbano e le domande di nuovi utenti hanno spinto in primo piano la questione nel dibattito pubblico. Oggi che tutti nelle istituzioni si impegnano a investire sugli alloggi, occorre chiedersi con quali programmi e con quali progetti è possibile rispondere. Dal revival della casa per tutti, il padiglione italiano intende passare alla proposta della casa per ciascuno». In questa prospettiva dodici studi di architettura sono stati chiamati non a concepire un nuovo modello di casa popolare, ma ad illustrare una nuova cultura popolare dell’abitare attraverso progetti e suggestioni per un futuro che al di là delle alpi è già passato prossimo. E’ questo il corpo centrale della pubblicazione che discende direttamente dalla mostra. A costituirlo sono i lavori di Andrea Branzi (la cui proposta è diretta emanazione del manifesto pubblicato sul numero scorso di questa rivista), baukuh, Studio Albori, Cliostraat, Mario Cucinella, Luca Emanueli, Ian+, Marco Navarra_NOWA, Italo Rota, Salottobuono, Beniamino Servino, Stalker /Osservatorio nomade. Tutti autori di progetti più o meno concreti che mettono al centro del ragionamento una idea di città basata sulla condivisione. Questa volta però non è la grande costruzione o il quartiere a divenire elemento di convivenze, ma il tessuto urbano nella sua integrale complessità. Ne sono un esempio estremamente interessante le 50.000 case per Milano del giovane studio baukuh concepite per spazi interstiziali all’interno e non all’esterno del territorio comunale, fino ad arrivare quasi alle spalle del Duomo, edifici – come affermano gli architetti - «più fedeli alle città che alle periferie, Oggetti modesti, senza velleità di rifondazione, privi della gloriosa follia dei loro antenati dai nomi favolosi (il Biscione, il Corviale, il Gallaratese), edifici che non pretendono di insegnare niente, case che non consolano, appartamenti che non illustrano rivoluzioni a venire. Edifici che non pretendono di mutare la città, si pongono al suo fianco, case estremamente bisognose delle case che le circondano». E allo stesso concetto di integrazione delle problematiche in un modello di modesta praticabilità si ispira il ragionamento di Mario Cucinella Architects intitolato Housing Evolution e la casa da 100K€. Evoluzione degli stili abitativi, un progetto che ha come obiettivo la realizzazione di un sistema di case di 100 metri quadrati e zero emissioni di CO2, in classe energetica A al costo di 100 mila euro cercando di proporre un modello di superamento della filiera speculativa costruttore-mediatore-banca-acquirente. Ma ai progetti centrati sul costruire si aggiungono anche quelli basati sul concetto di recupero, alla cui base sta, comunque la volontà di riconquistare i centri delle città evitando lo sbriciolamento delle periferie infinite. Parte da questo concetto l’Ecomostro addomesticato dello Studio Albori, che adotta la struttura incompiuta dello Scalo di San Cristoforo a Milano per trasformarlo in uno scheletro di supporto per moduli abitativi costruiti con scarti edilizi, ma funzionali, destinabili in parte all’affitto a canone sociale e in parte alla vendita. E sulle trasformazioni di luoghi altri, a imitazione di come effettivamente essi sono stati già in questi anni modificati e resi abitabili da flussi di migranti o di inquilini non identificabili, hanno lavorato Marco Navarra e Salottobuono. Tutti progetti che stanno tra la concretissima casa-bricolage (Savorengo Ker / la casa di tutti) pensata da Stalker /Osservatorio nomade per i Rom del Casilino 900 (un modulo abitativo in legno di 70 mq che costa quanto un container di 32) e la Casa madre di Andrea Branzi, utopia abitativa globale che tende ad abolire ogni confine, di spazio e di genere. In libreria: Francesco Garofalo (a cura di) L’Italia cerca casa – Housing Italy, Electa 2008, pp. 200, € 35. |