Anno 1 Numero 42 Del 8 - 12 - 2008
Nessuna verità
Editoriale

Gian Maria Tosatti
 
«Rimpiango la guerra fredda. Quando uno dei nostri faceva un errore come questo, dopo aveva almeno il buon gusto di passare al nemico».
battuta dal film “007 – Casinò Royale”

Qualche sera fa sono andato a vedere l’ultimo film di Ridley Scott, quello con Di Caprio e Russel Crowe. E la sera prima ho visto James Bond, perché a un certo punto bisogna staccare. E poi con lo spionaggio vai sul sicuro.
Però non è nemmeno vero che si stacca fino in fondo, perché il film che ho visto al cinema si chiamava Nessuna verità e la redazione de La differenza, questa settimana, ha lavorato  su un numero che ha come tema l’informazione e che parte dalla posizione secondo cui oggi i mezzi di comunicazione classici producono essenzialmente caos mediatico in cui è impossibile discernere la realtà oggettiva. E guarda caso, sarà perché, senza falsa modestia, quest’anno siamo riusciti ad anticiparle proprio tutte le questioni calde, proprio quello stesso pomeriggio, prima che andassi al cinema, finisco per assistere ad un altro film di spionaggio, una cosa televisiva però, tipo fiction, ma fatta bene, da sembrare (?) vera, una cosa che mi ha ricordato lo stile de La guerra dei mondi di Orson Welles, quando, senza dire che era tutto finto, la radio mandò in onda il primo capitolo con l’attacco alieno in diretta e gli Stati Uniti furono assaliti da un’ondata di panico dilagante. Quella che ho visto io, però, era roba italiana, di più basso profilo com’è consono, ma sta di fatto che il film iniziava con degli spot pubblicitari in cui ad un certo punto si diceva direttamente agli spettatori che quello che stavano guardando non era tutto finto e che dovevano scrivere una lettera alla segreteria della Presidenza del Consiglio dei Ministri (davano addirittura l’email vera!) per dirgli che non eravamo d’accordo col fatto che dal primo gennaio Sky costasse di più. Poi il film proseguiva con un’edizione del telegiornale che forniva l’identikit di Rupert Murdoch come grande uomo d’affari, anzi, di più, quasi un filantropo, che ha investito nell’Italia in recessione un sacco di soldi per dare da mangiare a migliaia di famiglie che lavorano per le sue televisioni satellitari (tagliando in sceneggiatura i dettagli delle condizioni di lavoro cui sono sottoposti i dipendenti). Dopo un inizio folgorante, la fiction proseguiva nello studio di un classico programma d’approfondimento pomeridiano, in cui il tema veniva osservato da un’altra angolazione, quella delle famiglie che in piena crisi economica si vedono alzare il canone Sky. E non si stava parlando di famiglie ricche, ma proprio di ceti popolari, specificati, sia dal conduttore che dagli ospiti, in: tifosi, casalinghe e anziani, tutta gente per cui “secondo gli esperti” la pay-tv sarebbe un bene essenziale.
La trama iniziava a svolgersi. Secondo i vari indizi raccolti si capiva che il governo aveva alzato l’iva sulla Pay-tv (e su altri servizi “primari”) dal 10 al 20%, comportando, «grave nocumento» alle famiglie italiane già schiacciate dalla crisi - tanto più che a fare due conti la spesa maggiorata di Sky, equivarrebbe più o meno alla cifra mensile della famigerata Social Card (ammesso che gli aventi diritto siano anche titolari di un contratto di televisione a pagamento).

Il quadro che andava tracciandosi, inframmezzato da diversi flash tele-giornalistici per dare una composizione sofisiticata “in stile Inarritu” al film, suggeriva che Silvio Berlusconi, in quanto principale concorrente di Murdoch nel mondo delle telecomunicazioni, avesse usato i suoi (super)poteri politici per conservare una posizione di vantaggio. “Concorrenza sleale fatta a discapito dei consumatori” è la definizione che da parte di giornalisti ed esponenti politici iniziava allora a circolare per definire sinteticamente l’affaire. Arriva così il momento buono perché le agenzie inizino a battere la seguente dichiarazione: «Questa misura è un modo per colpire un'impresa, Sky, che produce e dà lavoro e per colpire i cittadini, deprimendo ulteriormente il paese». Una sintesi tra il tema popolare e quello politico, insomma un “ma anche”, che per l’appunto porta la firma di Walter Veltroni. Si consuma così quello che sembra il finale del film, lo scandalo (???) che seppellisce il presidente. Ma come ogni pellicola di spionaggio che si rispetti c’è il colpo di scena e, verso sera, il ministro Tremonti rende pubblico il “carteggio”, ovverosia “le prove” per dirla nel gergo di 007, secondo cui l’aumento sarebbe un adeguamento alle normative europee, stabilito dal governo Prodi in accordo con Bruxelles e di cui il governo attuale oggi non starebbe facendo altro che completarne, come da programma, l’attuazione per non incorrere nelle sanzioni comunitarie che avevano convinto l’ex premier bolognese e il suo governo (confluito oggi nel PD) a darsi una mossa per mettersi in paro con gli altri euro-compagni. A quel punto il fronte si ribalta. Il premier attuale, che certo non è noto per essere battutista misurato, attacca senza mezzi termini l’opposizione e i direttori di giornali, chiedendo le dimissioni (con disonore) di quei politici che lo hanno attaccato mentendo sapendo di mentire mettendo i propri panni sporchi addosso ad un innocente (?) davanti a tutto il popolo italiano avvinto ai teleschermi, facendo finta di non sapere che quella norma l’avevano scritta proprio loro qualche mese prima. E dimissioni erano pretese anche da parte di quei direttori di giornale (Stampa e Corriere, nella fattispecie) che sono andati subito dietro la notizia senza verificarla.

A questo punto, se fosse stata una fiction americana (e dubito che avrebbe potuto esserlo), sarebbe finita qui. E, invece, siccome noi siamo italiani e ci piace la sceneggiata, nella notte, (mentre io ero al cinema a vedermi il mio Nessuna verità) fioccavano i commenti delle associazioni di giornalisti e di politici che, invece di fare un mesto mea culpa per aver definitivamente affossato quel minimo di credibilità di cui una sinistra con la più scarsa intelligenza politica della Storia poteva ancora godere da parte dei suoi “simpatizzanti” (non già più “elettori”), accusavano Berlusconi di “autoritarismo” per aver chiesto le dimissioni dei suoi ipocriti accusatori.
Stavolta il film è finito davvero. Non c’è più niente da dire. Si va a letto. Appunto come dopo uno sceneggiato. Domani si riprende a lavorare, a vivere, a faticare. La televisione trasmetterà un’altra storia. La fiction su Paolo VI. O il gioco dei pacchi.