Anno 3 Numero 03 - 01.03.2011 |
Anno 1 Numero 42 Del 8 - 12 - 2008 |
Il panegirico delle sette chiese e delle quattordici osterie |
Perché la satira in Italia ha finito per fare informazione |
Gian Maria Tosatti |
Sono i comici che oggi fanno informazione. E’ quel che qualche tempo fa affermava Sabina Guzzanti. E non le si può dar torto. Se non altro perché la satira, quale forma iper-letteraria permette di usare il bisturi ed incidere con precisione nella grande mappa che quotidianamente i giornali disegnano. E quella precisione chirurgica isola spesso i nuclei “drammatici” (in senso teatrale) della realtà, finendo per consegnare allo spettatore, o al lettore, uno sguardo sintetico laddove l’informazione tradizionale tende, invece, a far annegare tutto in un grande brodo che da qualche tempo pare un po’ indigesto ai cittadini di questo Paese. Il ruolo di primo piano che, tuttavia, ha raggiunto la satira nell’Italia odierna, non sembra essere merito solo del valore di certi autori (i tre Guzzanti, Crozza, Cornacchione, Zoro ecc.). A farcelo intendere è una considerazione di Ferruccio De Bortoli che due mesi fa, agli stati generali del giornalismo italiano, ebbe a dire che oggi i quotidiani sembrano dei grandi uffici stampa. Una verità che è sotto gli occhi di tutti e che inquadra come un’anomalia il recente titolo al vetriolo dell’Espresso contro la sua stessa area politica di riferimento. In Italia, a ben pensarci, è, infatti, quasi impossibile trovare una informazione libera, documentata e basata su inchieste. Per questo motivo, nel clima di diffusa ipocrisia informativa (che è forse l’unico peccato mortale che possa commettere un giornalista), il cittadino sente la necessità della satira, di farla, a modo suo, o di ascoltarla. Eh già, perché questo modo di riferirsi alla realtà non è solo il prodotto di una squadriglia di comici televisivi. Quintiliano nell’Institutio Oratoria attribuisce allo spirito del popolo romano la nascita di tale genere letterario (all’epoca la tv non c’era). E di fatti, a ben vedere la satira è sempre stata vox populi nell’Italia medievale e moderna, attraverso canzonette, stornelli o vignette che non sempre arrivavano ad una dignità teatrale o scritta. Oggi, essa, continua ad essere la valvola di sfogo attraverso cui il cittadino si toglie lo sfizio di stracciare la maschera a quei personaggi scomodi che si trincerano dietro il velo di rispettabilità della loro veste istituzionale. Dunque la satira è un atto di risposta ad un abuso, quello che vede l’Italia al 40° posto nella classifica mondiale sulla libertà di stampa (un posto indietro alla Corea del Sud e diversi sotto Cile, El Salvador…). Fare satira per strappare la maschera ad una verità “ritoccata” è una necessità umana proporzionale al livello di contraffazione che si avverte nell’aria. Per capirlo basta fare un esempio semplicissimo: pensiamo a Report il programma di Milena Gabanelli. Chi dopo una puntata dell’unica trasmissione che mostra la realtà delle cose nella sua cruda evidenza sente la necessità della satira? Nessuno. Le maschere sono tutte cadute. Non c’è più niente da scoprire. Ma Report non si è mai occupato di Mara Carfagna (un esempio per tutti). Così dalla prima apparizione pubblica della ministra (la prima davvero perché in precedenza la si era vista solo in qualche provino da velina), la gente ha iniziato a tirare le sue conclusioni. Complice la stampa tedesca, complice l’aspetto artificiosamente “ingrugnito” che fa di tutto per azzerare una sensualità scomodamente dirompente, complice Silvio Berlusconi che le ha consegnato il Ministero delle Pari Opportunità (proprio quello!), fatto sta che le battute hanno cominciato a girare molto prima che le intercettazioni telefoniche beccassero una “presunta” ammissione del Presidente del Consiglio riguardo un rapporto extraconiugale con la neoministra, e molto prima del famigerato No Cav Day, quando sul palco di Piazza Navona Sabina Guzzanti salì canticchiando la sua “Osteria delle ministre” (che appunto riprendeva formalmente quella forma di presa in giro popolare che appartiene al volgo e alle sue ufficiose verità). Fin qui tutto tranquillo: una situazione lascia adito a sospetti e qualcuno, ironicamente dà voce alle dicerie. E’ satira, punto e basta. Ma se poi accade che l’intercettazione incriminata venga distrutta per ordine del tribunale le cose cambiano. Perché in nessuna democrazia del mondo è tollerabile che esista il solo sospetto che un ministro abbia ottenuto la nomina in cambio di favori sessuali. La gravità delle affermazioni della Guzzanti non dipende, dunque, da ciò che ha declamato - lo avrebbe fatto comunque seguendo lo schema che compete al suo ruolo – ma dipende dal fatto che non esistano più prove concrete che possano testimoniare di fronte agli italiani il piano unicamente iperbolico delle sue “battute”. Insomma, la Guzzanti non ha deviato dal suo schema classico, a farlo è stato il diritto all’informazione che è stato eliminato assieme al nastro col dialogo intercettato. Gli italiani, a questo punto non sono in condizione di conoscere una verità fondamentale. Di contro la Carfagna ha querelato la Guzzanti, ma con che risultati? I comici dunque finiscono per fare informazione, perché talvolta i giornalisti si dileguano e gli attori, sul loro palco, restano gli unici a parlare di certi argomenti. Un’anomalia, certamente, che va risolta. Ma chiedere ad un comico di dimostrare la verità delle sue affermazioni è molto meno utile (e comporta molte meno implicazioni verso la società) che chiedere ad un ministro di dimostrarne la falsità. |