Anno 1 Numero 43 Del 15 - 12 - 2008
Una nuova identità (per superare le questioni morali)
Editoriale

Gian Maria Tosatti
 
Nel 1665 Spinoza interruppe a metà la sua stesura dell’Etica. La sospese, sostanzialmente, per circa cinque anni, durante i quali scrisse il Trattato Teologico-Politico, uno dei fondamenti del pensiero democratico europeo. Alla fine, nel 1670, l’Etica venne ripresa e conclusa nell’arco di altri cinque anni. La ragione di questa temporanea diversione stava nel fatto che il filosofo, dovendo analizzare, nelle ultime parti del suo scritto centrale, la possibilità e le condizioni della libertà individuale, comprese che questa sarebbe stata, se non garantita, certamente favorita dalla libertà civile e politica della quale, dunque, anzitutto appariva necessario analizzare possibilità e condizioni.
Così, leggendo il Trattato, senza che Spinoza ne parli apertamente, si capisce facilmente qual è la differenza che passa tra lo “stato di diritto” e lo “stato di necessità”. Il primo si ha ad esempio per azione dei grandi patriarchi della Scrittura, che adoperarono i comandamenti di Dio come uno strumento di ordine basato su un rapporto equilibrato di ragionevole adesione alle norme e di superstizione (in cui quest’ultima andava a colmare nel popolo i vuoti cognitivi rispetto all’altra). Il secondo, invece, è rappresentato dal movimento stesso che ha portato alla nascita della lex, ossia da quella condizione di paura e insicurezza, che derivava all’uomo dall’assolutezza del suo stato primitivo, e per cui ad un certo punto della Storia esso subordinò il proprio diritto di singolo al diritto di tutti, istituendo consapevolmente il fondamento del processo democratico. Dunque, a ben vedere lo “stato di necessità” si dimostra un fondamento possibile dello “Stato di diritto”. E pure, esistono “stati di diritto” in cui non è più rintracciabile alcuno spirito di necessità nella consapevolezza del popolo. Ne sono esempio molti totalitarismi tradizionali nel loro periodo di “maturità” (si pensi all’Unione Sovietica sin dalle fasi tarde della Rivoluzione stessa), e allo stesso modo ne è esempio il totalitarismo dei consumi di cui ci parla Marcuse e che effettivamente non corrisponde più attualmente ad alcuno stato di necessità che non sia definibile come sindrome psichica. C’è poi la situazione politica dell’Unione Europea, che si connota come un sistema di regole senza, di fatto, essere un soggetto politico e dunque l’espressione di una reale identità frutto del raggiungimento di una consapevolezza comunitaria dei singoli cittadini.  E così, come ultimo esempio si può portare quello di uno Stato che lentamente inizia a perdere i fondamenti stessi della democrazia, eppure resta in piedi sulla base di uno “stato di diritto” che, privato del suo spirito fondante, appare come l’esoscheletro di un idolo morto sulle spalle del suo popolo, e su di esse pesante fino allo stremo. Si sta parlando del popolo italiano, che all’idolo repubblicano, in altre circostanze e con altri padri, aveva dato vita sulla base di quello “stato di necessità” che Spinoza descrive e le cui dolorose contraddizioni riempiono le pagine della nostra letteratura post-bellica.

Osservando questo scenario sembra che la differenza sostanziale fra lo stato di diritto e quello di necessità stia nella coscienza. Il primo può non averne (se è vero che continua a sussistere anche da morto), il secondo non si ha senza di essa. E la coscienza è appunto l’elemento motore che, secondo Karl Marx, conduce al verificarsi dell’evento, ossia, nel nostro caso, alla fondazione di un nuovo Stato di diritto che sia incarnazione permanente delle leggi e dello spirito del popolo legislatore.
Il tema della “coscienza”, effettivamente è stato trattato a lungo nel corso del Novecento, finendo per divenire mito, entità trascendente, il cui mancato avvento ha contribuito ad attribuirgli un che di messianico. In realtà essa è tutt’altro. Per capirlo si può prendere ad esempio l’epica greca e l’Odissea. In essa, Ulisse non dimentica mai Itaca, anzi, non fa che cercarla e più profondamente lo fa, più il suo viaggio lo spinge lontano, fino all’epilogo dantesco. Itaca, dunque, è la coscienza di Ulisse, qualcosa che sta dentro di lui e che in fine non può essere raggiunta se non nel momento in cui l’eroe annega dentro se stesso, inghiottito dal mulinello metaforico di cui si fa menzione nel XXVI canto della Divina Commedia. Il suo sopraggiungere non ha tempi determinabili, per l’Ulisse omerico e per quello dantesco essa arriva nella vecchiaia, quando il maggior vigore con cui s’è cercata sembra spento. In una grande installazione inaugurata in questi giorni al CIAC di Genazzano, l’artista Ines Fontenla mostra una nave arenata il cui nome è appunto Itaca, svelando la coincidenza spaziale fra l’isola e la nave, l’obiettivo e il mezzo per raggiungerlo, ma al contempo, la rovina del relitto mostra come il raggiungimento della compiutezza sia difficile, il risultato non scontato, e il viaggio più breve, a volte, addirittura incolmabile.

Così oggi, a dividere la «democrazia imperfetta» dell’Italia attuale e la «vera democrazia» cui il popolo, per quanto confuso e disilluso, ambisce  per natura, c’è il mare oscuro della coscienza. Imbarcarvisi non può che esser frutto di uno “stato di necessità”, la necessità di cercare qualcosa che dev’essere trovato. Quella stessa titanica esigenza che ogni giorno ci conduce a fare la rivoluzione per essere ciò che desideriamo, per realizzarci come singoli. Quella stessa rivoluzione intima, enormemente faticosa eppure raggiungibile, pensata in chiave di superamento dell’individualismo verso una realizzazione in quanto comunità, è il viaggio da intraprendere perché il popolo italiano ritrovi quello che realmente oggi, alle pendici della catastrofe, è ciò di cui ha bisogno, una nuova identità, da cui far discendere un rinnovato “Stato di diritto” radicalmente democratico. E’ un processo questo che non ha nulla a che fare con le scelte e la ponderazione. Esso si innescherà (lo insegna l’Argentina) quando il limite della maggioranza dei cittadini sarà raggiunto. Allora questo Paese inizierà a liberarsi di ciò che crede di essere e cercherà se stesso. Fino ad allora saranno molte chiacchiere, molti articoli di giornale che c’informeranno di questioni morali, d’inchieste, di conflitti d’interesse, però quello che si potrà sempre leggere tra le righe è che la democrazia non rappresenta ancora per gli italiani uno stato di necessità.