Anno 3 Numero 03 - 01.03.2011 |
Anno 1 Numero 44 Del 22 - 12 - 2008 |
Professione d'agnosticismo |
Editoriale |
Gian Maria Tosatti |
«Felice quella terra che non ha bisogno di eroi» Bertolt Brecht La letteratura e i fumetti ne sono pieni. E ultimamente sono finiti anche sui grandi schermi del cinema americano. Eroi ovunque e supereroi in ogni dove. Non è una novità. D’altra parte ogni forma di racconto nella storia, dall’epica antica a quella medievale, si è fondato sulla figura dell’eroe come simbolo di una forza archetipa o del destino. Ed è così per tutte quelle figure che tale ruolo hanno assunto nella sfera della realtà, prodotti e incarnazioni anch’essi di un sentimento popolare. La differenza essenziale, tuttavia, fra gli eroi della fiction e quelli che come tali sono stati percepiti nella Storia sta nel fatto che i primi sembrano avere una vocazione conservatrice, legata alla protezione ed al mantenimento dello status quo, mentre i secondi, di contro, si presentano come rivoluzionari. Effettivamente i supereroi della storia sono sempre collegabili ad un concetto di cambiamento o addirittura ad una vera e propria rivoluzione. Quella francese partorì la figura di Napoleone, quella fascista partorì la sagoma del faccione di Mussolini, quella bolscevica dipinse l’icona staliniana. E la stessa figura di Adolf Hitler nella sua ascesa fu incarnazione di una delle più grosse rivoluzioni della storia tedesca moderna. A completare il quadro del nostro pantheon contemporaneo possiamo metterci anche Ernesto Che Guevara, la cui faccia su sfondo rosso è diventata bandiera del concetto stesso di Rivoluzione anche al di là dei confini latinoamericani. In un’ipotetico scontro fra titani nell’altra metà campo finirebbero i supereroi di carta, l’Uomo Ragno, Batman, Iron Man, James Bond, The Spirit, per citare solo gli ultimi che hanno attraversato la striscia immobile della carta per finire su quella movimentata della pellicola. Non sono tutti santi, ognuno di loro ha avuto almeno una crisi d’identità, dall’Uomo Ragno (nel suo dualismo con Venom) a Batman e 007 le cui contraddizioni sono state approfondite proprio negli ultimi episodi cinematografici delle rispettive saghe. Eppure tutti loro esprimono con estrema chiarezza un’ideale conservatore, di difesa e protezione dell’esistente, a partire dal loro storico allenatore (è questa la figura che ricopre spesso nell’universo Marvel) Capitan America il cui stesso granitico patriottismo non è stato immune a qualche ripensamento (ne nacque il più grosso scontro di supereroi mai disegnato). E al conservatorismo tendono anche quegli eroi della Storia che oltrepassano la cortina della fiction, uno su tutti (sempre per stare nell’attualità) è il Leonida re di Sparta protagonista della graphic novel 300 (ossia la battaglia delle Termopili secondo Frank Miller). Ma in tutto ciò quel che più appare interessante è che tale distinzione è frutto della percezione che gli uomini hanno della figura eroica. Essenzialmente, osservando tale quadro, si capisce facilmente come la società nella sua produzione di forme comunicative tenga ipoteticamente alla conservazione, alla protezione del proprio equilibrio da attacchi esterni o interni. Tuttavia, nell’intimo spirito della realtà quotidiana, le molteplici contraddizioni del potere e la certa distanza da una società ideale portano alla ricerca spasmodica di una figura forte, di un leader capace di cambiare le cose. D’altra parte è su questa consapevolezza che s’è edificato (e direi anche inceppato) il bipolarismo all’italiana. Ovviamente, infatti, di veri eroi non ce ne sono poi tanti e quando nascono, spesso, non è il momento giusto per loro. Così la voglia di costruire un idolo, realizza spesso aberrazioni, come fu il vitello d’oro degli ebrei o come lo sono state più tardi le molte figure reali che sopra abbiamo elencato. A ben vedere, dunque, l’eroe si dimostra una sorta di astrazione. Per intenderlo si può prendere a prestito Feuerbach dicendo che la debolezza strutturale dell’uomo porta quest’ultimo ad astrarre da sé un’idea di potenza alla quale poi si sottopone quale schiavo. E’ quel che il filosofo pensava di Dio, ma è pur vero che dal mitologico Ercole al marveliano Thor gli eroi sono sempre stati considerati semi-dei ed è ancor più vero che chi assurge al potere gioca spesso a fare l’onnipotente e la sua trama termina spesso in una catarsi tragica. |