Un'immagine dello spettacolo
Un'immagine dello spettacolo
Uno dei terroristi minaccia la sala durante il
Uno dei terroristi minaccia la sala durante il "Boris Godunov"

Anno 2 Numero 04 Del 2 - 2 - 2009
I protagonisti della scena
Una operazione estremamente complessa il "Boris Godunov" della Fura dels Baus ambientato alla Dubrovka

Attilio Scarpellini
 
«Dolente e senza ironia, Vladimir Putin
è apparso in televisione
nei panni del principe Amleto
per spiegare al mondo
prima ancora che ai russi (i russi
lo hanno sempre saputo)
che doveva essere crudele
per poter essere buono
»
A. Rudin, Dubrovka

L’uomo che parla sporgendosi da un palchetto, gli abiti dimessi – da contadino e da rivoluzionario – di un Novecento ormai andato, non è destinato a parlare a lungo, il suo discorso verrà presto interrotto dagli spari e dall’irruzione degli individui coperti dai passamontagna pronti a trascinarlo, con tutto il pubblico che lo segue, in un’era che è e non è più la sua. Tra il palco e la sala, con il soprassalto di un immaginario perverso ma sempre in agguato, i terroristi tracimano: urlano, sparano in aria con i kalashnikov, stendono rotoli di cavi e di inneschi lungo tutto la sala, prendono ostaggi. Uno di essi, prigioniero in un cono di luce, verrà giustiziato in ginocchio: cade a terra di lato, come nei film, ed è la stessa immagine di sempre – la stessa immagine nazista: perché mai uccidendo un uomo inerme si dice che lo si giustizia? Immaginando che l’attacco al teatro Na Dubrovka dell’ottobre del 2002 interrompesse non Nord Ost,  una commedia musicale di effimero successo sulle scene della nuova Russia, ma una rappresentazione (riattualizzata in panni staliniani) del Boris Godunov, la Fura dels Baus ha alzato oltremisura la posta in gioco simbolica di quell’evento. Teatro nel teatro, lo era a suo modo già il Dubrovka dove la messa in scena di una realtà – la guerra in Cecenia – interrompeva e rimodulava il senso convenzionale dello spettacolo, convocando idealmente sulle poltrone rosso fuoco dell’ex casa del Popolo di Mosca, consacrata al teatro leggero, l’intera società russa colpevole di non avere occhi per la tragedia del Caucaso. Moltiplicato nel riflesso dei media, il suo teatro (“ciò dentro cui si guarda con stupore”) veniva immediatamente esteso dal locale al globale, proprio come era accaduto un anno prima, l’11 settembre del 2001 con l’attacco alle Twin Towers. Azione spettacolare, performance a tutti gli effetti: irruzione di una realtà ideologicamente intrattabile (rischiosa, mortale) nel ventre molle dello spettacolare. Ma il raptus iperrealista della Fura, che sulla scena dispiega tutta la geometrica potenza dell’illusione teatrale per replicare quel gesto (e in qualche modo rimetterlo all’ordine del giorno della rappresentazione), fa di più: col Boris Godunov puskiniano chiama a raccolta un’intera tradizione del potere e dell’abuso di potere, della legittimazione e del difetto di legittimazione (Boris è un usurpatore, uno degli innumerevoli pseudo che popolano la storia russa), costringendo evento e rappresentazione a rileggersi l’un l’altra. A quel punto è chiaro come gli specchi sono sistemati, in quella che i francesi chiamano mise en abime: è il disordine che riscrive l’ordine, rivelandone la letale fragilità, è la pseudo-democrazia (la democratura come la definisce Predrag Matvejevic) di Vladimir Putin che si rispecchia nell’usurpazione di Boris ma anche l’universum democratico nel suo complesso che nella macchia scura del Durborvka – episodio chiave, vale la pena di ricordarlo, della “lotta mondiale contro il terrorismo” - vede riesplodere i suoi mai risolti problemi con la violenza che afferma di combattere. Un piccolo teorema (non euclideo) risale dalle icastiche considerazioni di Walter Benjamin sulla violenza: ogni diritto (recht) affonda le sue radici nel sopruso (vorrecht), ogni legge continua a fondarsi e a mantenersi attraverso la violenza, agitando il fantasma dello stato d’eccezione. Ma sul versante opposto, ed è quanto viene perfettamente illustrato da quella circuitazione del potere – gratta il terrorista e troverai il capetto, gratta il leader e scoprirai il terrorista sotto il doppiopetto - che alimenta il congegno catartico del Boris Godunov allestito dal gruppo catalano, l’antagonismo terrorista è soltanto un potere camuffato che con l’Istituzione condivide l’inconfessabile e l’essenziale di una libido violenta.

Il Dubrovka che era (ed è tornato ad essere) un palcoscenico – fatto forzosamente regredire alle sue origini di spazio sacrificale da un letteralismo brutale – ha lasciato un segno profondo nella storia di questi anni ma, in particolare, come ha scritto Gianfranco Capitta, “nel cuore del teatro in tutto il mondo.” Questione, aggiunge il critico del Manifesto, dell’effetto moltiplicatore di “una andata in scena in cui la realtà ha superato l’invenzione teatrale e tutti i suoi artifici”. Capitta ha ragione di rimarcarlo: il Dubrovka era nell’aria del teatro, come l’11 settembre è stato immediatamente in quella del cinema. E se il gruppo catalano è stato finora l’unico ad “accogliere la sfida” – la paurosa sfida simbolica che comportava un ritorno nella rappresentazione – i segni di questa fascinazione si erano diffusi già prima del suo Boris Godunov: punteggiavano, come resti organici su una tela di Francis Bacon, l’edizione del Patalogo dell’anno 2002, dove la stessa vedova cecena, musa addormentata dal gas del Cremlino, si ripeteva in una sequenza filmica di piccoli fotogrammi. In una poetica già più orientata al panico, comparivano in forma di grandi e flosci conigli seduti sulle poltrone accanto ai normali spettatori di un episodio, il III, della Tragedia Endogonidia della Societas Raffaello Sanzio. Quando l’orrore della storia si ripete, molto spesso si ripete in Fiaba. Ma c’è da chiedersi se l’exploit di azionismo armato compiuto dai terroristi sulla scena di Mosca non abbia sigillato in maniera definitiva quell’idea di transustanziare la vita nell’arte che per più di un secolo ha fomentato l’antagonismo delle avanguardie. Vedere la Fura preferire il segno, e all’occorrenza la metafora, all’azione diretta e alla provocazione fisica che hanno reso celebri le sue performances, dà comunque da pensare: si ha un bel sostenere che il suo Boris Godunov prende in ostaggio lo spettatore, lasciando libera la sua testa di spaziare attraverso l’azione, “fisicamente passivo ma mentalmente attivo”. E’ in questa distanza tra la rappresentazione e la realtà che l’arte torna a fare “come se” scoprendo che la totale determinazione del reale, come afferma Capitta, non è alla sua portata, eccede i suoi mezzi. Già negli anni ’40 un grande teorico del cinema, André Bazin, guardando alcuni montaggi di combat-film, si complimentava con se stesso per non essere diventato cineasta, perché, diceva, “la realtà sa allestire le sue messinscene meglio di chiunque e soprattutto in modo inimitabile”. A che scopo programmare delle catastrofi capaci di rivaleggiare con quelle naturali, che era più o meno il compito che Artaud assegnava al teatro, quando la storia (cioè la pistola che abbiamo ancora piantata sulla nuca) ne programma di più definitive (di più inimitabili) e, se non bastasse, di più spettacolari? Basta ricordare le parole malinconicamente  ammirate e forse fraintese che un maestro del formalismo artistico novecentesco pronunciò davanti alle immagini dell’attacco contro il World Trade Center: la “più grande opera d’arte mai realizzata”. La verità è che, trasferita sul teatro globale dei media, l’azione terroristica si produce di per sé come un’utopia spettacolare che dello spettacolo non ha più bisogno: l’11 settembre o l’irruzione al Dubrovka sono performance che si compiono una sola volta e che non ammettono repliche.
 
A teatro: Genova, Teatro dell’Archivolto. Dal 6 al 7 febbraio.

A teatro: Bologna, Arena del sole. Dall'11 al 14 febbraio.

A teatro: Firenze, Sashall. Dal 17 al 18 febbraio.

A teatro: Senigallia, Teatro La Fenice. Dal 21 al 22 febbraio.

A teatro: Milano, Teatro Smeraldo. Dal 26 febbraio al 7 marzo.

A teatro: Torino, Teatro Nuovo. Dal 10 al 15 marzo.

A teatro: Ferrara, Teatro Comunale. Dal 20 al 21 marzo.

A teatro: Pordenone, Teatro Verdi. Dal 24 al 25 marzo.