La copertina di questa settimana è tratta da uno scatto di Alex Brandon
La copertina di questa settimana è tratta da uno scatto di Alex Brandon

Anno 2 Numero 04 Del 2 - 2 - 2009
Il papa nero
Editoriale

Gian Maria Tosatti
 
Ci è voluta più o meno una settimana per cambiare faccia alla politica ambientale, a quella internazionale e a quella interna degli Stati Uniti. Una settimana per prendere l’intero pacchetto Bush, ovvero otto anni di opprimente vergogna e scaricarli nello sciacquone della Casa Bianca.
Non è strano che un cambio di governo corrisponda ad un cambio di politica, ma rovesciare i tre principali tavoli dello scacchiere internazionale tutti in un colpo non è cosa da tutti. Effettivamente alle grandi rivoluzioni politiche si arriva abitualmente mediante un lungo percorso di avvicinamenti, di accerchiamento dei problemi, di piccoli passi diplomatici. D’altra parte la politica non è un agente autonomo, ma un movimento riflesso degli equilibri di diverse forze sociali e delle rispettive rappresentanze. Insomma, l’evoluzione della politica è qualcosa che assomiglia alla teoria dell’evoluzione darwiniana, al movimento della crosta terrestre e alla deriva dei continenti. Lentamente, si tende ad evolvere, lentamente mantenendo sempre l’equilibrio dell’esistente. E’ la visione scientifica della politica cui siamo abituati. Non ha nulla di messianico, dunque non ha nulla a che vedere con quello che è accaduto in questi giorni. Nel cuore della politica internazionale si è introdotto l’elemento decisionale e la figura del demiurgo. Barack Obama ha sgomberato il campo e si è messo a rifare il mondo in sette giorni (senza nemmeno concedersi il sabato di riposo).

A guardarla da qui, dall’Italia, un Paese che vorrebbe cancellare una partita di calcio perché si sente in crisi diplomatica col Brasile, è difficile da capire. Ma effettivamente l’anomalia rappresentata da questa detonazione politica che si lascia leggere in chiave trascendentale è sostenuta da qualcosa che è effettivamente diverso rispetto ai consensi su cui i precedenti presidenti americani poterono contare. Dalle tiepide investiture di Carter, Bush (senior) e Clinton, a quelle controverse di Johnson e Nixon, passando per i clamori non del tutto bipartisan per Reagan e alle uova marce lanciate contro l’auto-presidenziale dell’ex alcolista George W. quando conquistò la Casa Bianca per la prima volta all’ombra di un broglio elettorale. L’elezione di Obama, di contro, è stata una sorta di rito medievale. Il suo insediamento ha coinciso con una vera e propria incoronazione con annessi e connessi, ossia con la consegna di quell’aura misterica che scendeva sull’Imperatore del Sacro Romano Impero allorché il papa lo avrebbe nominato tale. E non è un caso che in tempi più recenti fu proprio Napoleone a pretendere che tale cerimonia retrò si ripetesse perché gli aprisse la strada al potere illimitato. L’incoronazione creava una figura depositaria del potere temporale il cui spirito si può ben comprendere notando quella commovente fede che in esso pone Dante Alighieri nelle sue opere politiche e prima di tutto nella Commedia.

Effettivamente ad eleggere Barack Obama non è stato solo un voto politico, ma una sorta di plebiscito culturale e spirituale compiuto da un paese in profonda crisi identitaria, ma prima ancora da un intero pianeta che ha unitariamente tifato per la prima volta per questo giovane senatore venuto fuori da chissà dove. Ed effettivamente, discorso dopo discorso, nella lunga marcia verso la conquista del più alto trono mondiale, l’autorità del neo-presidente, che citava il reverendo King e che si è fatto benedire la mattina dell’elezione dalle parole di Obi Wan Kenobi, si è andata a fondare prima ancora che sul piano politico su quello spirituale. Nelle interviste rilasciate ai diversi media che hanno cercato di fotografare le opinioni dell’uomo della strada, la concretezza del programma democratico è passata in second’ordine rispetto al tema della “speranza” rappresentata dalla “figura” del candidato. Dai neri dei ghetti alle biondine ossigenate della west-coast sorpresi in mezzo alla strada da un microfono, fino ai gaudenti Pd boys che si sono riuniti nei circoli romani durante l’election night, per tutti Obama ha rappresentato più un ideale che una scelta. E ciò ha fatto del neo-presidente il depositario anche di un altro potere, quello spirituale, che nello schema classico era appannaggio del papa. Ma di questi tempi la Santa Sede, che si fa sbeffeggiare davanti al mondo da un pretucolo di provincia che dichiara al giornaletto del villaggio come le camere a gas servissero per disinfettare, sembra arrivata ai minimi storici della propria autorità e quel potere pare sia stato svenduto ai saldi di quest’inverno di crisi. Per questo motivo pare che Obama non abbia avuto la necessità di invitare il pontefice alla sua cerimonia di incoronazione perché facesse calare sulla sua testa la corona e la tiara. Ma se si fossero incontrati cinque minuti prima della cerimonia, nello studio ovale, per concordare le mosse, c’è da credere che ne sarebbe nato un dialogo simile al Mozart e Salieri di Puskin. O forse no, forse Obama non è (come Berlusconi ebbe a dire di sé stesso) “l’unto dal signore”. Forse non è come Mozart, un “toccato”. Forse è soltanto l’artefice della sua fortuna. Come Napoleone. Forse egli non è l’eletto. Eppure la sostanza non cambia, tutti gli altri poteri di fronte al suo soccombono.

Soccombono i poteri spirituali, che di fronte al plebiscito americano, si dimostrano imbrigliati nelle loro infinite divisioni. Soccombono i poteri politici dei vari nani della politica internazionale, da Ahmadinejad a Berlusconi a Raoul Castro che perdono autorità proporzionalmente alla loro opposizione al “presidente del dialogo”. Perdono autorità le ragioni di Israele e Hamas nel momento in cui sfuggono alla nuova mano tesa americana.
L’unico che non s’indebolisce è l’altro (presunto) eletto. L’eletto dell’altra metà dello Spirito, quello della chiesa ortodossa della Santa Terra di Russia, il Rasputin diventato Zar Vladimir Putin, l’unico, per ora a reggere il confronto, ad aver capito come porsi nei confronti dell’imperatore d’occidente.

Su questo scenario decisamente d’antan, fatto d’imperatori e d’imperi, di oriente e occidente, di guerrieri santi e di monaci passati al lato oscuro della forza si apre il primo capitolo di una nuova era, che per il momento si presenta simile ed equidistante rispetto al passato storico del buio medioevo e al futuro in cinemascope del profeta George Lucas.