Il manifesto di
Il manifesto di "Futuroma"
Un'immagine della performance ispirata a
Un'immagine della performance ispirata a "Rissa in galleria"

Anno 2 Numero 07 Del 23 - 2 - 2009
Il futurismo degli assessori
Editoriale

Gian Maria Tosatti
 
La migliore analogia per capire questa roboante celebrazione del Futurismo è quella con il manifesto di Futuroma, la famosa “notte bianca” in stile marinettiano che la giunta Alemanno iniziò a pubblicizzare già all’indomani del suo insediamento. A guardarlo da lontano, da una trentina di metri, sembra ammiccare a Depero, recuperando la dimensione ludica e giocosa del movimento. Poi avvicinandosi ci si rende conto di quanto effettivamente questa accozzaglia di colori e forme sia brutto, disarmonico, privo di struttura, fatto letteralmente coi piedi, dalla composizione generale agli imbarazzanti dettagli. Depero non c’entra proprio niente. Tantomeno il Futurismo. Per qualche sconosciuto motivo si è preso un grafico di mezza tacca e gli è stato chiesto di comporre qualcosa che omaggiasse alcuni tra i migliori pittori che ha avuto il nostro Novecento. Bel paradosso! E su questa linea è tutta l’operazione che come un singhiozzo, o meglio una contrazione nervosa post-mortem, scuote l’intera penisola in questa settimana. Basti ricordare la figuraccia milanese dei giorni scorsi, in cui il neo-assessore  Finazzer Flory si è visto bloccare dai vigili urbani (i ghisa) la performance di danza che doveva “scimmiottare” la Rissa in galleria di Boccioni. Alle due del pomeriggio un grappolo di ballerini diretti da Ariella Vidach e vestiti come i “ragazzi di Amici” avevano iniziato a saltellare e ballettare qua e là con la pretesa di rievocare la forza plastica del dipinto originale. Era iniziata male ed è finita peggio con l’assessore che sbraitava di fronte alle telecamere contro l’incursione dei pizzardoni che gli avevano rovinato la prima uscita pubblica.

Ora, premesso che la “rievocazione” è cosa che attiene ai morti, essa, applicata al futurismo, che vive di velocità e di progressione, appare ancor di più fuori luogo, accentuando la sua dimensione mortuaria e mortifera. E poi fa certo sorridere il fatto che oggi l’Italia, il paese meno futurista del mondo, il paese più lento del mondo, che da cent’anni, in tutti i suoi compartimenti, tradisce quotidianamente i sogni dei vari Balla, Sant’Elia, Marinetti, voglia celebrare questi disconosciuti profeti. Dopo averli dimenticati, traditi, sminuiti nei fatti più ancora che a parole, di punto in bianco li si tira fuori dallo sgabuzzino per fargli la festa. Difficile allora che essa non finisca per assomigliare ad un funerale, con l’inconveniente del fatto che i lustrini al massimo possano sembrare di cattivo gusto.
Ma è fin troppo evidente che non è questo l’importante, perché l’operazione ha assai più a che fare con la politica che con la cultura. D’altra parte c’è una destra che ha ripreso in mano il paese (Roma in testa) e che deve in un certo qual modo accreditarsi un patrimonio culturale, che possa nelle migliori delle ipotesi sembrare anche una “coscienza culturale”. Non c’è che questo, infatti, ad esempio dietro gli ultimi exploit di figure improbabili come Graziano Cecchini, il vate del futurismo “de noantri”, che dopo aver azzeccato la tinta alla Fontana di Trevi, ha poi dato prova della sua assoluta inadeguatezza artistica in degradanti occasioni mediatiche in cui i politici più sfacciati non hanno mancato di sorridere compiaciuti.

La notte bianca futurista non è andata meglio. Una costellazione di recuperati da ogni dove, di artisti (?) che non si sono vergognati di fare una proposta, si sono dati il cambio sul ring della capitale riuscendo a dar vita ad un baraccone ancor più improbabile della sagra metropolitana che fu la Notte bianca veltroniana. A girare per le strade non era assurdo chiedersi perché il più grande movimento artistico italiano dai tempi del Rinascimento dovesse essere celebrato “da questa gente”.

E’ il futurismo degli assessori. Non c’entra la destra o la sinistra. C’entra il degrado politico italiano. L’incapacità di rendersi conto del valore delle cose, o ancor più del “senso” di certe operazioni. E’ lo spirito del manifesto di Futuroma, lo spirito della schiuma senza la birra. Dei progetti fatti per andare a finire sui giornali e non per lasciare un segno nella società.
Il problema quindi non è omaggiare il Futurismo. E’ una cosa che si può fare, ma non così. Non facendo la “notte dei morti viventi” o “il balletto in galleria”. Gli assessori vogliono il futurismo? Beh ce n’è quanto ne volete di futurismo in Italia, di velocità, di dinamismo, di innovazione, di sogni. Volete sapere dov’è? Ovunque. Sostenere gli artisti è futurista. Permettere a questo paese di sviluppare nuovi grandi movimenti culturali è futurista. A Milano, mentre i ballerini di Finazzer Flory litigavano coi vigili urbani, veniva sgomberato il Cox 18, fucina di talenti contemporanei, di fronte all’indignazione di tutt’Italia e non solo. A Roma, nella città in cui anche col cambio di amministrazioni «’a nuttata» non passa mai, dopo due anni e mezzo dallo sgombero, l’Angelo Mai, il luogo che ha generato la più profonda rivoluzione culturale che la capitale abbia visto negli ultimi vent’anni, è ancora chiuso. Eccolo il futurismo, disarmato, sconfessato, disperso. Eccolo il futurismo degli assessori. Eccolo il futuro del nostro paese.