Anno 3 Numero 03 - 01.03.2011 |
Anno 2 Numero 08 Del 2 - 3 - 2009 |
Extraterrestre portami via |
Presentata a Roma la docufiction “Oltre i limiti” con Andrea Cosentino e Gaetano Ventriglia |
Luigi Coluccio |
Sulla copertina di Planetary #18, ingiallita, spiegazzata, c’è una foto di gruppo: Michel Ardan, Victor Barbicane, Stuyvesant Nicholl e il resto del "Gun Club" di Baltimora sono in posa davanti al cannone che di lì a poco li lancerà sulla Luna. Siamo nel 1865, e la Storia sta per cambiare... Il 13 luglio del 2008 gli abitanti della città catalana di Manresa scompaiono misteriosamente. Si facevano chiamare gli “aborigeni”, e guardavano trepidanti le stelle in attesa di essere portati via dagli alieni. Le uniche due persone rimaste in città sono Gaetano Ventriglia ed Andrea Cosentino, e la Storia, di nuovo, sta per cambiare... Oltre i limiti, docu-fiction diretta da Joan Jordi Miralles e presentata in esclusiva al Rialtosantambrogio di Roma, è un po’ un oggetto misterioso e beffardo. Nata sotto l’egida di Denominació d’Origen, progetto parallelo della tv catalana Xarxa de Televisions Locals che raccoglie “esperimenti” sull’audio-visivo realizzati da giovani filmaker indipendenti, la pellicola è interamente girata in italiano e ha come attori due icone del teatro di ricerca romano e non, Gaetano Ventriglia ed Andrea Cosentino. Le sei puntate da dieci minuti ricamano visivamente il vuoto, fisico ed emotivo, che si è venuto a creare attorno i due italiani dopo il rapimento-ricongiunzione degli abitanti di Manresa con esseri provenienti da altri mondi. Miralles getta la maschera fin dall’inizio, permeando di alterità e assenza già l’incipit drammaturgico che dà inizio alla vicenda. Doppiamente distanti, diversi, alieni risultano essere, infatti, i nostri due eroi, Gaetano ed Andrea: italiani ed attori/autori di teatro, sono “logicamente” estranei alla realtà di Manresa, alla storia di Manresa, alla docu-fiction su Manresa e il suo mistero. Ed è proprio lo scarto tra l’assurda presenza del duo Ventriglia-Cosentino e il resto del mondo, reale o fittizio che sia, mostratoci dalla macchina da presa che rende Oltre i limiti un’operazione brillante e, per certi versi, raffinata. La povertà dei mezzi stride, provocando bagliori di senso, con l’epicità e la tragedia – che poi sono la stessa cosa... - della vicenda. Un’estetica fintamente raffazzonata, superficiale, nasconde un calibratissimo “occhio” capace di cogliere senza soluzione di continuità la solitudine dei protagonisti e il mistero, tangibile, che emana ogni porta, strada, finestra della città catalana. La grammatica cinematografica è ridotta all’essenziale: primi o primissimi piani alternati a totali o panoramiche la fanno da padrone, instaurando un rapporto intimo, privilegiato, tra i due sopravvissuti e lo spazio nullo che giorno dopo giorno, speranza dopo speranza, attraversano. E il loro andirivieni beckettiano in attesa di un Godot stellare che forse arriverà è inframmezzato da una routine quotidiana assurda e giocosa: aquiloni che diventano radar interplanetari, microonde capaci di alimentare sonde che andranno oltre il nostro sistema solare, una mela che è la mappa dell’universo... Un Méliès iperreale e moderno sembra dar vita alle invenzioni che solcano le immagini di Oltre i limiti, con trovate clownesche che rivelano inaspettatamente una maschera razionale – coup de theatre raffinati come i «buchi dei vermi» che altro non sono che i wormhole studiati dall’astrofisica e dalla meccanica quantistica; l’acqua come fondamento della vita ed ambiente necessario per tornare dai viaggi spazio-temporali... Ma come nella vicenda del “Gun Club” di Baltimora, la tecnologia lascia il passo all’umano, con la bellezza e la poesia e, perché no?, l’ingenuità delle sue idee, utopie, che rendono possibile un viaggio sulla Luna o un contatto con esseri da altri mondi. Ecco quindi che l’alterità mostrataci da Miralles è prima di tutto tensione vitale verso una fuga, oltre il baratro in cui siamo gettati e che oggi assume i contorni, le immagini, la struttura della Società. Ed è proprio nell’assenza di essa che si trovano ad agire Ventriglia e Cosentino. Il baraccone è ancora in piedi – prigioni, musei, centri commerciali, grattacieli - ma il motore immobile che lo muove è scomparso. E i sopravvissuti (?) mettono in scena una strana esistenza, totalmente sradicata da quanto avveniva prima: parcheggiano ordinatamente le macchine, vanno in bicicletta per non intasare l’etere con rumori che possano impedire loro di sentire gli eventuali contatti con gli alieni, dormono nelle piazze e nelle strade sotto le stelle... Un’aura selvaggia e primigena illumina tutte e sei le puntate, in una discesa che assume l’aspetto di una risalita, verso un nuovo e migliore modo di vivere, essere, co-esistere. Il balzo è vertiginoso. Spogliati da ogni residuo “civile”, i due sopravvissuti (?) divengono individualità estreme capaci di ricreare il mondo a loro immagine e somiglianza, privi come sono delle pastoie che la Società delle Immagini e dei Canditi imponeva come necessarie – una casa, una famiglia, un lavoro, un conto in banca. Il vuoto di Manresa è il vuoto etico, sociale, economico che pervade le nostre vite, mostrato così come è, e la tristezza, la solitudine, il senso di sconfitta che attanagliano Gaetano ed Andrea sono gli orrori intimi e quotidiani che sconquassano l’esistenza di ognuno di noi. Come sempre, la fantascienza – e l’horror - sono i generi cinematografici capaci di materializzare bidimensionalmente le ansie e i paradigmi del nostro esistere. E gli alieni, lungi dall’essere piccoli omini verdi in bicicletta che desiderano solo fare un’interurbana, divengono uno specchio assoluto e perfetto delle nostre, assolute e perfette, brutture. |