Il manifesto dell'anteprima di FRI
Il manifesto dell'anteprima di FRI
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Un'immagine da "Città - spettacolo per corpi randagi" di Margine Operativo

Anno 2 Numero 10 Del 16 - 3 - 2009
Tana libera tutti
Si costituisce il Festival Roma Indipendente, una nuova rete cittadina per la cultura parte dall’Horus

Mariateresa Surianello
 
Spazi occupati autogestiti e creatività indipendente sono dagli anni Ottanta un binomio incandescente, un braciere ardente che scalda e illumina costantemente l’esistenza quotidiana di una moltitudine antagonista e impegnata nelle lotte sociali. Non sono fenomeni isolati, questi centri di aggregazione e di produzione culturale sono modi di operare diffusi e in perenne innovazione. E non c’è città, grande o piccola, che non abbia un luogo liberato, riconquistato al degrado e all’abbandono, e utilizzato per scopi pubblici, dalle lotte per la casa alle pratiche artistiche, di ideazione, produzione e “fruizione”. A Roma l’universo underground è disseminato su tutto il territorio metropolitano, dal centro alle periferie, e dagli anni Novanta ha dato vita a un arcipelago misconosciuto e mal tollerato dalle Istituzioni. Una miriade di isole, che sono vere e proprie aree di resistenza culturale, osmotiche con l’ambiente circostante. Ciascuno con le proprie differenze e specificità questi spazi - le persone che li animano - stanno provando a moltiplicare i reciproci ponti di collegamento, ora che la crisi è conclamata e scarseggiano anche le briciole delle grandi torte culturali consumate nella capitale anche nell’ultimo decennio. Ora che il linguaggio della politica (anche cittadina) alimenta gli istinti più bassi dell’essere umano e fa leva sulle paure di questa nostra epoca di sfruttamento e migrazioni, per alzare lo scontro tra i ceti di minor valore sociale.
Ora che il tempo della crisi è “finalmente” arrivato sta accadendo quello che auspicavamo da almeno dieci anni, la creazione, attraverso il riconoscimento reciproco, di una rete di soggetti, singoli artisti, gruppi, spazi autogestiti, occupati ma anche “privati” (a Roma, il Teatro Furio Camillo, per intenderci), operatori che dilatino l’accesso alla produzione e alla fruizione, opponendosi alla mercificazione della cultura e del fare arte.

Il primo esito di questo processo di aggregazione si è avuto in questi giorni con l’anteprima di FRI – Festival Roma Indipendente, che non a caso ha trovato accoglienza all’Horus Liberato, così rinominato dopo la rioccupazione dello scorso 12 dicembre. Una due-giorni di teatro, musica, installazioni, performance, video che proprio per la sua collocazione nello storico edificio di piazza Sempione si carica di un valore aggiunto, simbolico, certo, ma principalmente pratico. Il valore di una serie di azioni compiute nel quartiere Monte Sacro per risanare strutture abbandonate e riconsegnale alla cittadinanza, come l’Astra 19 e il capannone chiuso in via Isole Curzolane e ora trasformato nella Palestra Popolare “Valerio Vebano”. Che non è un’intitolazione qualsiasi, questo è il nome dello studente antifascista dell’Archimede, classe 1961, assassinato in casa davanti ai genitori imbavagliati, perché nella sua opera di controinformazione era arrivato a conoscere troppo sui legami tra neo fascisti e malavita organizzata, collusi con frange dello Stato. Era il mese di febbraio del 1980. L’arma usata dai sedicenti Nar era una 765, stesso calibro, pare, di quella che due anni prima aveva lasciato su un marciapiede di Milano i corpi di Fausto Tinelli e Lorenzo (Iaio) Iannucci del Leoncavallo. Cosa c’entrano questi morti ammazzati? Eccome se c’entrano. Questa non è un’altra storia, è la nostra Storia. Sono due tasselli di un mosaico insanguinato e scaraventato addosso alle nuove generazioni. E i gruppi che hanno performato all’Horus (il 13 e il 14 marzo) conoscono questa Storia e la vogliono ricordare per leggere il presente. Lo dice senza metafore Giovanni Greco, uscendo dal limbo in cui la chiusura del Teatro del Lido ha gettato Le Sirene e proponendo Conferenza stampa di Pinter e poi lo ribadisce con le parole di Pasolini che sa i nomi, ma non ha le prove.

Sgomberato il 21 ottobre dalla giunta Alemanno, l’Horus è tornato alla “custodia sociale” dell’omonimo collettivo che non si arrende al cambio di destinazione d’uso di questo ex cinema-teatro degli anni Venti collocato da Innocenzo Sabbatini all’entrata della Città Giardino Aniene progettata da Gustavo Giovannoni. L’intenzione della proprietà (la Gemini Spa) sarebbe, infatti, quella di farne un ennesimo supermercato, sbaraccando ogni segno architettonico delle sue “glorie” passate (compreso il periodo a luci rosse!). E molte demolizioni sono state compiute subito dopo lo sgombero. Mancano parti del palcoscenico e i bagni, sì, i bagni sono stati distrutti. Proprio sul muro posteriore di una tazza divelta Keramik Papier ha proiettato il suo Funny, un omaggio alle sperimentazioni di Alberto Grifi che qui appare come un impegno a ripulire con l’acqua di quelle immagini grezze l’inutile vandalismo. E, al piano superiore, fa impressione la sala con la loggia dalle grandi vetrate imbrigliata in una rete di ferro, chiusa come un bunker e accessibile solo attraverso una porta blindata, ridotta forse a meno di cinquanta centimetri di altezza. Un altro abuso edilizio demenziale. Ma lo spazio all’Horus non manca e le performance si spargono ovunque. Al piano terra, Giano per Mi rubi gli occhi innesta di plastica e alluminio una piccola porzione laterale della sala, rendendo visibili a intermittenza i movimenti di Maddalena Gana e Giordano Giorgi, mentre Santasangre proietta sul pianerottolo della scala un vortice di suoni.
Valerio Gatto Bonanni con i suoi SemiVolanti appostati accanto al bar si diverte a far discettare su Quali giganti? due scienziati pazzarelli, prima del debutto dello spettacolo al Furio Camillo (dal 24 al 26 marzo). Per Alessandra Ferraro e Pako Graziani di Margine Operativo, che abilmente tengono le redini della serata, il palcoscenico dell’Horus diventa occasione per riproporre il loro Città – spettacolo per corpi randagi, riconfermando il felice percorso di ricerca intrapreso dal 2007. Un lavoro maturo che unisce all’acidità del testo, ormai fatto proprio dal cantante-performer Indo, la musica di basso e chitarra di Federico Camici e Andrea Cota.
Altri appuntamenti con FRI sono in costruzione e fino a giugno si opporranno ai tentativi di rendere Roma una città in cerca di sicurezza.