Nell'immagine di copertina di questa settimana, incorniciata da una marca da bollo, l'unica foto disponibile di Bernardo Provenzano nei lunghi anni prima della sua cattura
Nell'immagine di copertina di questa settimana, incorniciata da una marca da bollo, l'unica foto disponibile di Bernardo Provenzano nei lunghi anni prima della sua cattura
La vignetta di Vauro
La vignetta di Vauro

Anno 2 Numero 15 Del 20 - 4 - 2009
Cimiteri a orologeria
Editoriale

Gian Maria Tosatti
 
Il terremoto ha iniziato a dare i suoi frutti. E chi li raccoglie non ha pudore di metterli in bella vista come trofei sventolanti sulle macerie. Ha cominciato il Tg1 che per la giornalista Susanna Petruni ha scritto un monologo degno di Werner Schwab sul trionfo nei dati auditel. E a ruota, anzi, a valanga, è arrivato Berlusconi la cui popolarità - ci racconta Renato Mannheimer sul Corriere di ieri – è schizzata letteralmente alle stelle con più che probabili ripercussioni sulle prossime elezioni amministrative ed europee. D’altra parte formula vincente non si cambia e se le sgambate tra la “munnezza” nella crisi dei rifiuti del napoletano è valsa al premier l’accesso a Palazzo Chigi, quelle tra le macerie aquilane gli varranno il bis in Europa e nelle province. E allora eccolo lì, pronto, col suo caschetto da pompiere in pieno stile trasformista, infaticabile, appena una settimana dopo aver varato un piano edilizio senza regole che finge di ignorare tutti i presupposti su cui si fondai l’edilizia italiana e che invece gli abruzzesi hanno conosciuto benissimo sulla propria pelle.

Eccoli allora i vincitori (?) e i vinti che sanno sempre tutto, anche quando nessuno dice niente. Perché, come al solito, della cosa più importante non si parla mai. Uno dei pochi a dire qualcosa è stato un certo vignettista, tale Vauro, che pare non passi la vita alla scrivania ma sia spesso in prima linea con Emergency dove ci sono catastrofi senza riflettori accesi. Il giovedì successivo al terremoto firmava un disegno la cui didascalia recitava «Non è il momento per le polemiche» e sotto il fumetto proseguiva «Ché in Italia si rispettano sempre i morti e mai le norme antisismiche». La Rai l’ha reputata una caduta di stile più grave dell’allucinante monologo della Petruni e Vauro è stato mandato in vacanza. Ma cosa c’era dietro la vignetta di Vauro? Per noi non è difficile dirlo. Ne avevamo parlato in un editoriale dell’anno scorso. La tesi allora era semplice: la principale attività industriale italiana è la fabbricazione di morti. Un’idea non troppo difficile da sostenere se si tiene conto che l’azienda (una delle poche vere multinazionali italiane) col più alto giro d’affari di questo paese è la mafia. Ma non la mafia di una volta, quella delle lupare, quanto piuttosto quella sotterranea che emerge di tanto in tanto anche nel nord Italia, a Duisburg, a Parma. E’ la mafia che s’è messa in affari e gestisce partecipazioni in aziende di ogni tipo, con particolare predilezione per l’edilizia. E allora quello che Vauro racconta in quella vignetta non è la tradizionale incuria italiana che fa le cose “alla romanella”. Dietro quella satira amara c’è un mondo che da quarant’anni, ossia dagli anni ’70 di Vito Ciancimino, è diventato sistema, con le sue regole, i suoi cartelli e le sue percentuali d’indebolimento del cemento come strategia di business. E questo non solo nella Palermo del sindaco picciotto arrestato nel 1984, ma anche nella Napoli del dopo-terremoto irpino, in cui l’anno dopo, nel 1985, perdeva la vita Giancarlo Siani, giornalista che cercava di rintracciare la rotta dei miliardi che sparivano nel tragitto da Roma ai paesi del sisma campano. A ricostruire quel terremoto fu la camorra, che allora, agli inizi degli anni Ottanta iniziava ad avere già pieni poteri sulle gare d’appalto e sulla gestione di società edilizie fantasma che nel gioco di scatole cinesi dei subappalti ha tirato fuori quanto bastava per pagare gli studi ad una nuova generazione di mafiosi che ormai non ha quasi più bisogno di sparare per alzare la produzione della propria fabbrica di morti. Lo scandalo dei rifiuti che Saviano ci racconta attraverso un panorama di colline artificiali su cui uomini e animali si ammalano quotidianamente ha fatto saltare la percentuale alle stelle e anche il terremoto abruzzese, in tempi di crisi industriale, ha fatto segnare una virtuosa controtendenza nel business dei morti radendo al suolo quei cimiteri ad orologeria che sono le case italiane. E, oltre a quello dei cadaveri, un altro parametro si appresta a salire, quello della voce “edilizia” che secondo i dati dell’Eurispes dovrebbe essere la seconda voce nel bilancio di Cosa Nostra (il primo è il traffico di droga – agente chimico di prima importanza nella trasformazione di uomini in cadaveri). L’edilizia frutta annualmente a Cosa Nostra (quindi solo alla mafia siciliana) una cifra che si aggira attorno ai 2 miliardi e ottcentocinquanta milioni di euro. Ciò basterebbe a dimostrare che l’infiltrazione della malavita organizzata in questo segmento economico è strutturale. Ma a rendere le cose più chiare ci pensa la magistratura con migliaia di intercettazioni telefoniche che si possono trovare nei libri di  certi cronisti giudiziari (il lavoro che piaceva fare appunto Siani) come Lirio Abbate (il mese scorso è uscito “I complici” per Fazi Editore sui rapporti fra la cupola di Provenzano e il mondo di politica e affari), finiti sotto scorta per non avere lo stesso magro destino del giovane predecessore la cui storia è diventata questa settimana un bel film di Marco Risi.
In queste intercettazioni, alcune delle quali lette da Travaglio nella puntata di Anno Zero che è costata il posto a Vauro (e riportate nel video allegato al nostro editoriale della settimana scorsa) c’è l’esatta spiegazione della vignetta del disegnatore toscano e anche l’esatta spiegazione di come mai una intera città sia crollata tutta insieme come fosse di carta. In piedi, è vero, sono rimaste le costruzioni più vecchie e ad Onna, il paese che più di tutti ha risentito del sisma, hanno resistito senza un graffio le pochissime villette costruite a noma anti-terremoto, ossia l’eccezione che conferma la REGOLA.

Per questo particolare rispetto dei morti che si vive nel nostro paese abbiamo dovuto aspettare due settimane perché il Presidente della Repubblica chiedesse chiarimenti sul tema delle responsabilità in ambito edilizio. E il Presidente della Camera Gianfranco Fini ha atteso che a pronunciarsi fosse il suo più alto in grado prima di avanzare una richiesta di indagini che è arrivata soltanto ieri. Nel frattempo, si è parlato di tutto, si sono viste le fotografie, si sono ascoltati i drammi, si sono scatenate le polemiche, ma nessuno ha parlato di mafia. Come se non esistesse. Come se fosse solo una questione di lupare che in Abruzzo non hanno sparato un colpo.

E invece non è così. Per raccontarlo abbiamo voluto pensare un numero diviso in due parti. La prima è dedicata al concetto ambivalente di ricostruzione – da intendersi sia in senso edilizio che in senso giornalistico. Ne fanno parte due figure diverse ma dai destini non troppo dissimili, Roberto Saviano, che qualche giorno fa sulle colonne di Repubblica ha voluto spiegare quanto la penetrazione delle cosche in Abruzzo sia una realtà in attesa di occasioni di sviluppo già da qualche anno, e il già citato Siani, la cui morte, legata ad un’altra ricostruzione (edilizia e giornalistia), quella dell’Irpinia, ha trovato in questi giorni una ruvida e precisa narrazione cinematografica.
La seconda parte, aperta come trait d’union dalla ricostruzione giornalistica di Alberto Nerazzini su una storia di ‘Ndrangheta, affronta invece una realtà che non è più marginale, quella del ruolo delle donne dentro e fuori le organizzazioni criminali, dalle donne boss al centro delle cronache giornalistiche di questi giorni e di quelle cinematografiche, alle mogli e alle madri di Forcella, in prima linea con la cultura per disegnare un futuro diverso per sé stesse e per i loro figli.