Una immagine da uno degli spettacoli sviluppati durante il progetto
Una immagine da uno degli spettacoli sviluppati durante il progetto
Un momento del laboratorio
Un momento del laboratorio

Anno 2 Numero 15 Del 20 - 4 - 2009
Strumenti di difesa
Mafia – sostantivo femminile #3: creare una comunità consapevole a Forcella attraverso il teatro

Mariateresa Surianello
 
Già il luogo scelto per le aperture al pubblico dei laboratori è impregnato dei vissuti delle donne, delle loro emozioni, delle loro solitudini e sofferenze. Il Complesso dell’Annunziata, dove fino alla fine dell’Ottocento girava la Ruota degli Esposti, e, in particolare, il suggestivo Succorpo ha ospitato le serate conclusive de La scena delle donne, un articolato progetto sulle arti sceniche ideato e organizzato da Marina Rippa e Fernanda Fucillo. Coppia inedita di operatrici (una del teatro e l’altra della scuola) che ha coinvolto in questa iniziativa, realizzata a Forcella, uno dei quartieri più difficili di Napoli, una serie di professioniste della scena, ciascuna chiamata per la propria specificità artistica. E sono state cento le partecipanti ai laboratori teatrali, tenutisi presso l’Istituto Comprensivo Ristori-Durante, diretto proprio da Fernanda Fucillo, che ha concepito gli spazi scolastici come luoghi di incontro e di formazione non solo per i giovani e ben oltre gli orari canonici delle lezioni. In una zona del centro città in cui sono assenti aree verdi e spazi di aggregazione, questa scuola (elementare e media) è riuscita a svolgere quella che dovrebbe essere la funzione della Scuola, trasformandosi in luogo di accoglienza, ascolto e formazione per le alunne ma anche per mamme, nonne, sorelle, zie e amiche. Non a caso è stata rintitolata alla memoria di Annalisa Durante, la quattordicenne uccisa il 27 marzo del 2004 nel corso di una sparatoria tra clan camorristi. Annalisa era testimone silenziosa di una realtà insostenibile, contro la quale si sarebbe sicuramente battuta, se le fosse stato concesso di vivere. Scriveva Annalisa e nel suo diario aveva annotato anche la morte del giovane Claudio Tagliatatela, avvenuta qualche mese prima della sua, in quelle stesse strade del quartiere, dal quale la ragazzina sarebbe voluta fuggire. Un’uccisione casuale che mostra la feroce barbarie con cui la criminalità napoletana regola i suoi conti in mezzo a folle di innocenti. Episodio che, riportato da Roberto Saviano in Gomorra, ha scatenato la reazione di Matilde Andolfo, curatrice con Mario Fabbroni, della pubblicazione per i tipi della Pironti del Diario di Annalisa.

In questo contesto di guerre tribali ha preso corpo La scena delle donne, dimostrando che altre relazioni sono possibili, altri pensieri possono trasformare la vita di tutti i giorni. Marina Rippa (tra l’altro, fondatrice e anima della compagnia Libera mente, per la quale ha curato il gesto e il movimento di tutte le produzioni con la regia di Davide Iodice), forte dell’esperienza laboratoriale di Donne con la folla nel cuore, condotta al Teatro Trianon nel 2007, è tornata a lavorare sul territorio, riaffermando la funzione sociale del teatro. E ricreando un’occasione per trasmettere quel linguaggio scenico che permette poi, a chi lo sperimenta, di guardare e leggere la propria esistenza e i fatti quotidiani con una diversa consapevolezza. Sostenuto dall’Assessorato alle politiche sociali e alle pari opportunità della Regione Campania, il progetto è di quelli che non creano il grande evento, ma provocano invece una traccia profonda nel territorio dove sono impiantati. E quando si concludono lasciano un vuoto, sine die, perché il suo rifinanziamento – come del resto è prassi in Italia – per il 2009-10, non è assicurato, nel frattempo è cambiata assessore nella Giunta campana.
Un’incertezza che però non cancella la soddisfazione di Marina Rippa per quanto accaduto in questi mesi a Forcella con quel centinaio di donne, dai 9 ai 73 anni, e con le sue compagne di lavoro. «Siamo riuscite a sviluppare competenze, a colmare le distanze culturali, a far socializzare le persone, a formare il gruppo, a integrare le diversità e, non ultimo, a creare le condizioni migliori – dice Rippa - per una crescita equilibrata della persona nella comunità in cui vive». Per molte partecipanti ai laboratori non è stato facile entrare in quella scuola, togliersi le scarpe e iniziare a raccontarsi, ad ascoltare le altre, a stare insieme. Il teatro è servito come «alimento, utensile, come luogo del ritrovamento di sé, della propria storia, della propria dimensione di soggetto – sottolinea Rippa - e del proprio ruolo all’interno del mondo che abitiamo». Le donne, madri lavoratrici o madri casalinghe, hanno dovuto spezzare la routine quotidiana e ritagliarsi uno spazio per ripensare se stesse, entrando in relazione le une con le altre. Hanno vissuto conflitti, superato timori e resistenze delle famiglie, dei propri compagni e personali, rimettendo in gioco se stesse. E dai frammenti di testo, raccolti per le aperture finali, quest’ansia compare come momento di passaggio verso una presa di coscienza e il riconoscimento dei propri bisogni. «Scusate…maaa…’e che se tratta? ‘O teatro? E che s’adda fa’? [...] All’inizio ho avuto un po’ di problemi – ripete una donna - perché mio marito diceva “ma che vai a fa'? A perdere 'o tiempo?”. Mia mamma ca mi diceva: “No, se devi fare un lavoro concreto, pure se ti danno poco, io i bambini te li tengo, però pe’ fa e strunzate, no! [...] la famiglia era contraria, me sentiv’ in difetto! Io sono timida, comm’ vaggià spiegà: me metto scuorn! Poi ho partecipato a qualche incontro... e mi vergognavo di fare tutto! Chiedevano delle cose che sembravano strane… diciamo, non le capivo. Però tutta la settimana ci pensavo e mi faceva stare bene. Per esempio, ci andavo il lunedì e il martedì mattina mi scetavo più… più contenta, con più voglia di fare la mamma, la moglie. Poi, succedeva che mentre camminavo per strada ripensavo a certe cose che ci facevano fare al laboratorio e ridevo da sola, allora mi chiedevo tra me e me “stesse addiventann' scema?”. Poi succedeva che il mercoledì non vedevo l’ora che veniva il giovedì per ritornare al laboratorio. Sentivo questa voglia forte… [...] allora tutte quelle voci di mamma, mia sorella, mio marito, l’aggio menat’ a vie 'e for’ perché sta cosa vulev’ capì si ‘a putev’ fa’. E allora ho detto: “Manna a fan culo a tutt’ quanti e continua!”».

Per rendere più autonome le donne madri e agevolarle nella decisione di partecipare ai laboratori è stato attivato in concomitanza anche un servizio di baby sitting, al piano terra della scuola. E addirittura, per dare valore al lavoro svolto, a queste donne sarà corrisposto un gettone di presenza.
Diviso in due segmenti, “Trame adulte” e “Trame bambine”, questo laboratorio sulle arti sceniche ha fornito i mezzi per l’esplorazione dell’universo femminile, a partire dal racconto anche autobiografico e dalla capacità di ognuna di costruire oggetti, mettendosi alla prova con un’artigianalità extra quoditiana. Il segmento dedicato alle adulte è stato seguito da sessanta donne (a loro volta suddivise in quattro gruppi), condotte nella ricerca della propria espressione attraverso la guida della stessa Marina Rippa (corpo e scena) e di Alessandra Cutolo (scrittura per la scena), rispettivamente occupate nella creazione del movimento e del racconto. Mentre Daniela Salernitano ha lavorato alla realizzazione dei costumi e Rosellina Leone, studiando l’uso dei materiali e le scenografie, ha costruito con il suo gruppo un teatro delle ombre. Ne è uscita una composizione collettiva fatta di pezzi di vita vissuta, di esperienze soggettive, di emozioni soffocate e qui finalmente condivise con le altre. «Il teatro nasce dove ci sono delle ferite, dei vuoti, delle differenze, / ossia nella società frantumata, dispersa, / in cui la gente è ormai priva di ideologie, / dove non vi sono più valori; / in questa società il teatro ha la funzione di creare l'ambiente / in cui gli individui riconoscano di avere dei bisogni / a cui gli spettacoli possono dare delle risposte. / Quindi ogni teatro è pedagogia.» - le trame di donne sono state rintracciate anche seguendo questo pensiero di Jacques Copeau per innestare le arti sceniche in questo contesto e farne un percorso esperenziale per ogni donna, giovane, adulta e vecchia.

“Trame bambine” è stato invece seguito da venti alunne (dalla quinta elementare alla terza media) e dalle loro mamme. Le coordinatrici (Daniela Politi e Luisa Cavaliere, con la collaborazione di Linda Dalisi, Tonia Garante, Chiara Licenziati e Laura Massa) hanno raccolto le storie, indagato desideri, speranze, delusioni di queste giovanissime donne con l’intento di procedere all’interno di una scrittura “di sé come cura”. «Attraverso questo percorso si è ritenuto di poter intervenire empiricamente sulla consapevolezza di sé e degli altri, contribuendo – affermano le curatrici - a favorire la pratica della cittadinanza attiva».
Tutta questa esperienza, documentata dalle foto di Irene De Caprio e dalle riprese video di Alessandra Carchedi, sarà raccolta in un libro che uscirà il prossimo giugno. Servirà a diffornedere la conoscenza della Scena delle donne di Forcella e a conservarne la memoria. «La bellezza del lavoro che abbiamo svolto, e anche la sua unicità, sta nel mettere insieme, operatrici comprese, donne di provenienza, età, cultura diverse, attraverso le arti della scena. E sentire – conclude Marina Rippa - che questo percorso ha gettato un seme sulla qualità della vita di ciascuna».

Le aperture de La scena delle donne si sono svolte presso il Complesso dell’Annunziata – Succorpo, dal 26 al 28 marzo 2009.