Il convegno del 13 dicembre 2007, curato da «La Differenza» in cui il mondo complesso della scena indipendente romana poteva avanzare per la prima volta proposte unitarie ai tre assessori riuniti di Comune, Provincia e Regione
Il convegno del 13 dicembre 2007, curato da «La Differenza» in cui il mondo complesso della scena indipendente romana poteva avanzare per la prima volta proposte unitarie ai tre assessori riuniti di Comune, Provincia e Regione
Una veduta interna dello spazio «Riunione di Condominio»
Una veduta interna dello spazio «Riunione di Condominio»

Anno 3 Numero -01 Del 01 - 11 - 2010
Cambio di Scenari
Una prima analisi sulla fine del sistema teatrale indipendente a Roma

Mariateresa Surianello
 
Per diciotto mesi «La Differenza» è mancata dalla rete, un tempo irrisorio, eppure sufficiente a farci ritrovare oggi in un paesaggio completamente destrutturato. Un lasso di tempo speculare a quello della sua presenza online, solo un anno e mezzo è durata infatti l’esperienza di osservazione collettiva della «Differenza», prima serie. Non che i prodromi di questo crollo non fossero evidenti già nell’aprile del 2009, al contrario, da queste pagine si sono tentate riflessioni sulla catastrofe in atto ma non ancora certificata. E ora questi diciotto mesi di distacco da quell’esperienza confermano quanto noi rappresentassimo, per la nostra dichiarata appartenenza, e quindi raccogliessimo il canto del cigno di un ciclo che si stava concludendo.

L’intero progetto di Scenari Indipendenti, sostenuto dalla Provincia di Roma, all’interno del quale «La Differenza» si è snodata, è stato il punto di massima consapevolezza della comunità teatrale (è troppo stretto etichettarla come una generazione teatrale) di essere stata protagonista della sua stessa rinascita, che l’aveva impegnata almeno lungo il decennio precedente. Apertosi, idealmente, con l’arrivo a Roma di Mario Martone – direttore a cavallo del Duemila dello Stabile – e conclusosi con le dimissioni di un controverso e scalpitante Walter Veltroni da poco rieletto sindaco della Città Eterna, per correre niente meno che verso il premierato di Palazzo Chigi in lizza con Silvio Berlusconi. Una caduta rovinosa che a livello capitolino ha significato l’elezione di Gianni Alemanno a primo cittadino, vittoria agevolata dall’infausta scelta del centrosinistra di candidare Francesco Rutelli, da cui il crollo definitivo di tutta quell’impalcatura marginale che negli anni non aveva trovato certo stabilità attraverso inesistenti politiche nazionali, né con interventi locali occasionali e vincolati alla sensibilità del politico di turno o, e forse è peggio, con la cooptazione all’interno di grosse organizzazioni private. Da questa sensibilità, che talvolta è stata ed è ancora mera tolleranza, non si può comunque prescindere nel tentativo di osservare oggi – in questa sorta di post-dissoluzione di un micro sistema teatrale “indipendente” - i rapporti stabilitisi o in divenire tra le sue diverse componenti.

Il nodo cruciale per quanto attiene alle arti sceniche, che in Italia e a Roma, in particolare, per la forte presenza di gruppi, rappresenta il punto di massima criticità dell’intero sistema teatrale non finanziato o finanziato a singhiozzo, sta nella necessità, in ogni fase del loro farsi – dall’elaborazione alla esibizione – di abitare uno spazio, adeguato per dimensioni e tempi di occupazione. Uno spazio che possa essere prima luogo di creazione “chiuso” e poi di allestimento “aperto”, capace insomma di trasformarsi da laboratorio a luogo di fruizione. E di fruizione di altre opere create in altri luoghi omologhi della stessa o di altre città. Questi luoghi, attraverso i quali si sono mosse le compagnie attive fuori dal sistema teatrale istituzionale, sono stati quasi sempre riconducibili alla dimensione “illegale” degli spazi occupati e autogestiti. Per tornare alla Roma pre Scenari Indipendenti, è interessante guardare al lavoro, negli anni Novanta, di Margine Operativo all’interno del Forte Prenestino o, in anni più recenti, di Santesangre che si insedia al Kollatino Underground. Entrambe iniziano a organizzare ospitalità e rassegne, connotandosi come tasselli di un puzzle extra-sistema e quindi indipendente, qui davvero nella sua accezione di libero da legami economico-strutturali. Ma più interessante, nel nostro tentativo di creare una griglia di riflessione sulle modificazioni relazionali e spaziali nell’ambito di quel teatro avulso dai cartelloni ufficiali, è anche la partecipazione di Triangolo Scaleno nell’occupazione di Strike. Una breve esperienza che vale la pena qui ricordare per la posizione di organizzatrice sostenuta dalla compagnia nell’ambito di quella parte di progetto afferente a Scenari Indipendenti denominato Teatri di Vetro, che nella sua prima edizione (2007) avrebbe dovuto raccogliere un’antologica selezione dell’enorme offerta teatrale presente sul territorio romano. E se in quella prima edizione senz’altro c’è stata corrispondenza con gli intenti progettuali, seppure tra le contraddizioni insite nel costituendo rapporto con la Fondazione Romaeuropa, le vetrine successive hanno subito cercato un respiro fino oltre i confini nazionali, lasciando gran parte della creatività romana “orfana” di quella madre putativa. Il solo elemento che qui ci interessa focalizzare è proprio la trasformazione di uno strumento collettivo, nato dalle istanze della base artistica, in uno strumento pre-ordinato su base privatistica, che può e deve avere altre finalità, per altro anche condivisibili.

A questo stesso scopo è utile ripensare come dal dissolvimento di certi spazi che a Roma sono stati un rifermento forte – ripetiamo anche in questa sede, specialmente per la loro ubicazione nel centro storico della città, il Rialto con dieci anni di attività alle spalle e l’Angelo Mai che ha esaurito la sua parabola in un biennio – otteniamo una sorta di riformulazione dei rapporti che ne stabiliscono le dinamiche interne. E a fronte di un Rialto ancora lontano dal vedersi consegnare la nuova sede, l’Angelo Mai nel suo trasloco “altrove”, dopo il primo anno improvvisato, sta ora sperimentando la megaproduzione di Bizarra, un evento-provocazione che ha spostato il cuore del lavoro dalla ricerca laboratoriale alla produzione seriale. Bisognerà attendere il prossimo gennaio, quando esaurite le dieci puntate della teatronovela argentina, si potrà capire quali forze creative troveranno ospitalità in questo spazio, sia in residenza produttiva, sia in allestimenti estemporanei delle proprie opere. E se verranno recuperate quelle dinamiche relazionali che avevano portato il primo Angelo Mai tra le eccellenze in fatto di spazi “pubblici” di aggregazione e condivisione di materiali culturali e artistici. Non che le eccellenze artistiche e organizzative abbiano trovato accoliti e riconoscimenti istituzionali nel panorama romano, anzi, si pensi al naufragio del Teatro del Lido di Ostia. Una base se non la sicurezza economica potrebbero offrirla banche e fondazioni bancarie con sedi romane, ma queste appaiono solo interessate ad aggiungere fondi a istituzioni culturali già provviste di supercoperture finanziarie. Operando di fatto una scelta politica conservatrice sia nel merito delle programmazioni da sostenere, sia dei modelli organizzativi. Un esempio di mecenatismo più che illuminato appare invece quello Fondazione Cariplo in Lombardia che, libero da ingerenze e in assenza dell’Istituzione regionale, interviene attraverso il progetto Être (Esperienze teatrali di residenza, al di là dell’acronimo, in francese suona un potente “essere”) con finanziamenti sistematici su realtà produttive insediate nel territorio. Con bando annuale ne sono state individuate una ventina di diversa natura, sono i casi, per citarne un paio, di Motoperpetuo a Pavia e del Teatro delle Moire a Milano. Da dodici anni organizzatore di Danae Festival, quest’ultimo inaugura finalmente la propria casa, LachesiLab, nella zona di piazzale Loreto, con l’intenzione di farne un atelier aperto ad altre compagnie, in modo da innescare collaborazioni e scambi impossibili senza un luogo fisico da condividere.

La provenienza delle risorse finanziarie non determina quindi uno spostamento delle scelte e dei contenuti da parte di coloro che si trovano a gestire uno spazio, il quale, se è destinato al teatro, per definizione è uno spazio pubblico. Anche quando si colloca all’interno di un locale privato. Viene in mente, giusto per chiudere con Roma, lo sforzo che sta compiendo Teatro Forsennato per offrire con La riunione di condominio un luogo fisico da condividere e, date le sue dimensioni, in maniera ravvicinata. Qui, a San Lorenzo, ma nel lato più tranquillo della Sapienza, quel teatro polimorfo che inscatoliamo con l’etichetta “indipendente”, si mostra in tutta la sua natura privata e totalmente dipendente dai rapporti umani in continuo mutamento. E alla Riunione di condominio, a fine spettacolo, torna alla vecchia maniera del teatro di strada, a passare con il cappello.