Anno 3 Numero 03 - 01.03.2011 |
Anno 0 Numero 01 Del 19 - 5 - 2007 |
Danza di apertura |
Cie Twain e Maddai aprono il festival |
Gian Maria Tosatti |
Apre con un bilancio positivo Teatri di Vetro, che in questi primi due giorni conferma lo stato di salute della coreografia romana. I lavori di Cie Twain, Maddai e Zeitgeist rovesciano la potenziale debolezza legata al limite territoriale della fiera in una sfida esaltante al panorama nazionale della danza. Assenti capofila come Habillé d’Eau e MK, l’ultima generazione tiene il ritmo e rilancia.
Diviso in due parti, due tappe numerate, il lavoro di Cie Twain, la formazione diretta da Loredana Parrella, si presenta come una ricognizione nei perimetri del quotidiano, fitti di passaggi obbligati, di insofferenze, tensioni, rotture, ma anche di accensioni. Transgression #1: disobedience è il primo passaggio, ritmicamente più franto e caratterizzato da un movimento intenzionalmente spezzato, rallentato nel momento dinamico, che trova la pesantezza attraverso l’esasperazione della spinta. Tra le due parti questa è la più visibilmente costruita, con palpabili confini, chiusure e ripartenze. Il discorso è più concettuale e più ostico alla trasmissione rispetto alla parte successiva (Transgression #2: 4R in a room) in cui la nota dell’erotismo esce con grande pulizia ponendosi come livello di base su cui tutto il resto sembra scivolare più facilmente, senza bisogno di meccanismi troppo strutturati. Sono infatti i momenti in cui il gioco si apre e prende respiro, quelli che funzionano veramente, quelli che lo spettatore attende. Dalla meccanica a incastri si stacca una componente che inizia a danzare quasi avesse perso tutti i collegamenti col contesto e l’effetto è quello dell’elastico: maggiore è l’apparente distanza, maggiore la tensione, che tuttavia si esprime in leggerezza. Allora il dilungarsi oltre misura, dando ancora un colpo a vuoto, assume qui una valenza ironica e i ritorni estemporanei al nucleo dell’azione abbandonata esaltano l’immediatezza di una drammaturgia disegnata sui corpi e sulle loro attrazioni. Massimo di Perna si dimostra puntuale, asse d’equilibrio del quadro attorno al quale orbita Vittoria Maniglio, i cui allontanamenti, col suo vestito anni Sessanta e la sua sospensione fatta di rapidità e derisione, la fanno somigliare alla Monica Vitti dell’Eclisse. Una danzatrice e un attore, due livelli diversi della scena che magneticamente si attraggono e respingono e tra i quali Sabrina Vicari cerca di stare in equilibrio funambolico in una posizione mediana che nell’oscilazione tra il realismo e la danza perde centralità cedendo forza. Nello spazio di un appartamento, il lavoro, attraverso la sua bipartizione, si dispone, dunque, orizzontalmente su due macro-piani, costituiti di sotto-tasselli affiancati a incastro. Una stesura che dimostra la sua provvisorietà e che chiede con evidenza una sintesi verticale. In questo senso il concetto di divisione in parti contrasta con la necessità di concisione e con le possibilità di contrappunto producendo, specie nella prima parte, quell’eccessivo stiramento dei nodi drammaturgici in cui la danza facilmente cade. Tuttavia il lavoro presenta un ordine sintattico potenzialmente chiaro, ma ancora parzialmente inconsapevole in cui emergono autonome le proposizioni reggenti - tutte presenti nella seconda parte (come ad esempio il passaggio attorno al tavolo) -, e quelle subordinate - concentrate nel fitto sillabario introduttivo che compone la prima parte. Più debole la costruzione del corpo sonoro che ripropone amplificandola l’eccessiva percepibilità degli stacchi. Evidentemente legato alle arti visive è, invece, la performance Pezzo unico di Maddai, una installazione che gioca con le identità dei suoi danzatori resi iperboli dalle composizioni pittorico-letterarie di Barbara Fagiolo. La coreografia di Simona Lobefaro lega al laccio della caricatura i componenti della sua compagnia, che per contrasto, sembrano spogliarsi di fronte all’accerchiamento di segni facendo emergere la fragilità intima di ognuno. |