Anno 3 Numero 03 - 01.03.2011 |
Anno 0 Numero 02 Del 21 - 5 - 2007 |
Segnali d’indipendenza |
Editoriale |
Gian Maria Tosatti |
Non è tempo di bilanci. Ma non siamo nemmeno all’inizio. Quattro giornate di questa mostra mercato del teatro indipendente hanno lanciato dei segnali molto chiari. Primo segnale è la qualità delle opere in programma, che in media è più alta rispetto a quella delle produzioni ospitate nei teatri pubblici. Gli artisti di questa generazione dimostrano una grande consapevolezza nei linguaggi di cui si fanno portatori. Il recupero dell’artigianato teatrale – e quindi della cura per il dettaglio e per la resa generale – è conseguenza del tramonto del concetto di “movimento”. Senza movimenti artistici, senza manifesti formali, che negli anni hanno prodotto infinite giustificazioni ideologico-politiche a spettacoli decisamente brutti, oggi gli artisti nel loro sacrosanto egoismo pensano a sé e a sviluppare meglio possibile le proprie opere. Risultato: i lavori sono tutti di ottima fattura, e quelli che non sono capolavori sono comunque opere che reggono sul palcoscenico o mostrano con chiarezza linee di sviluppo potenziali per compagnie di cui in futuro certo si parlerà. Secondo segnale è la consacrazione di uno dei temi centrali dello spettacolo contemporaneo, ossia l’evoluzione del rapporto fra performance e spazio. Se è vero che il nuovo teatro concepisce le proprie opere in luoghi che assorbano sensorialmente lo spettatore, Teatri di Vetro ambientato nei meravigliosi lotti della Garbatella, ci insegna come questo principio stia alla base di un nuovo rapporto con il pubblico tutto da costruire. La gente che abitualmente non va a teatro scende le scale, si riversa nei cortili e resta ipnotizzata per tre ore di fronte alle performance di danza più estreme. Nelle cornici delle finestre, al buio, lampeggiano le televisioni mute, cui gli inquilini affacciati volgono le spalle. Terzo segnale è la vergognosa e totale assenza dei critici e degli operatori, che, non fosse per piacere, dovrebbero presenziare almeno per lavoro. E invece niente. E allora ecco che finalmente abbiamo capito che cosa vuol dire teatro «indipendente». Il teatro che stiamo vedendo in questi giorni è «indipendente» dal sistema malato di cui da anni ci lamentiamo. «Indipendente» allora vuol dire «sano». Nel teatro «indipendente» non ci sono operatori indefinibili che siedono da decenni sulle poltrone dei loro teatri con lo stipendio pagato dallo stato senza assolvere minimamente al loro ruolo istituzionale, non ci sono critici che hanno perduto la prima qualità del giornalista (ma anche dello studioso) ossia la curiosità, e non ci sono nemmeno persone tanto prive di buon senso da presentare disegni di legge e proposte di festival nazionali di teatro che non servono a niente di niente di niente. Basterebbe questo per affermare che il teatro «indipendente» ha il diritto di essere il “nuovo teatro italiano” e che ha il dovere di reclamarlo facendo piazza pulita di quel che resta di un sistema in poltiglia. In tal proposito i tre segnali emersi in questi giorni sono incoraggianti: la qualità artistica, la capacità di raggiungere nuove e vivaci porzioni di pubblico, l’inconsistenza lampante della vecchia guardia, vanno ad aggiungersi alla forza politica rappresentata da un numero altissimo di artisti e dall’ampissimo bacino d’utenza legato alle centinaia di strutture e decine di reti che in Italia si identificano nella parola «indipendente». A questo è solo questione di decisione. |