Anno 3 Numero 03 - 01.03.2011 |
Anno 0 Numero 02 Del 21 - 5 - 2007 |
Architetture e mercati |
Considerazioni sulle performance di Ti con Zero, Teatroblue e Giano. |
Gian Maria Tosatti |
Assolutamente eterogenei si dimostano i percorsi performativi ambientati nei lotti della Garbatella. E’ un tratto assolutamente distintivo nel carattere di questi Teatri di Vetro, che sono prima di tutto una fiera/mercato, ossia un luogo in cui i prodotti sono messi in mostra per essere venduti nei più diversi contesti. Ti con Zero, in questo quadro, presenta STRAP, una installazione dal carattere didattico, pensata in primo luogo per un pubblico di ragazzi. Al centro c’è il processo di fabbricazione della carta di stracci, un’attività produttiva ormai quasi del tutto perduta, ma estremamente affascinante. A raccontarlo è Fernanda Pessolano aiutata da un gruppo di performers e attori impegnati nella creazione di immagini poetiche attraverso le quali scandire concretamente l’iter che, dalla cernita degli stracci, porta alla produzione dei fogli. Una esperienza particolarmente interessante per i bambini, che alla fine hanno la possibilità di partecipare ad un laboratorio per imparare a produrre in casa la carta come si faceva nei secoli passati. Il teatro qui è uno strumento di divulgazione per una attività che vede non tanto nel circuito dell’arte, quanto in quello dell’educazione, il suo mercato. Meno convincente La voce di Teatroblue, una lettura vocalizzata abbastanza tradizionale che a differenza dell’altro lavoro ha meno chiari i suoi obiettivi e resta un esercizio attoriale che fatica un po’ a far presa sull’interesse dello spettatore. Ipnotica è, invece, la peformance di Giano intitolata Tensioni. In essa c’è la profonda consapevolezza nell’interazione con l’ambiente che già avevamo avuto modo di constatare nel progetto di Zeitgeist in cui Maddalena Gana e Giordano Giorgi, autori e interpreti di questo lavoro, avevano partecipato nei giorni scorsi. Eccoci allora in questo cortile di un ogni luogo, esposti alla calata del tempo. Un campo di vento. Un perimetro di concentramento pieno di bottiglie appese. Un altrove sovrascritto su un altro altrove architettonico. La lentezza del movimento che procede per inerzia, che scorre. A strappi di corrente i tagli dell’archetto sul contrabbasso sbattono contro gli urti di vetri. Un uomo e una ragazza attraversano uno spazio di sospensioni, in cui ogni cedimento, ogni resa è un atto totale. Non c’è un racconto. Piuttosto la capacità di rendere un’esperienza sensibile ciò che la poesia permette solo alla percezione della mente, attraversare quei panorami da realismo magico, in cui soffia il vento di certi versi di Saba, di Montale o quello che impolvera le sere di Attilio Bertolucci. Tuttavia osservando quest’opera la riflessione che viene suggerita riguarda qualcosa che esula dal singolo lavoro e finisce per riguardare il senso etico di una architettura dinamica che “dostoevskianamente” può essere agente di mutamento sociale in quanto principio di condivisione quotidiana della bellezza. E’ una considerazione figlia di questi giorni in cui il contesto architettonico della Garbatella si sposa con l’ispirazione di artisti e coreografi che hanno fatto dello spazio un bacino di amplificazione delle proprie visioni producendo il coinvolgimento attivo di gruppi di pubblico solitamente lontani dai teatri eppure decisi a modificare le proprie socio-traiettorie quotidiane stimolati dalle suggestioni di quest’arte da cortile. Le donne più riservate, dalle proprie fiestre ombrose osservano in silenzio dietro il velo delle zanzariere. |