Anno 3 Numero 03 - 01.03.2011 |
Anno 0 Numero 03 Del 23 - 5 - 2007 |
Lo studio e il tempo |
Sguardi rapidi sugli studi di Alessandra Giambartolomei, C.e.t.e.c, e Manuela Giovagnetti. |
Gian Maria Tosatti |
Criticare uno studio è sempre un esercizio molto difficile, perché a differenza dello spettacolo chiuso, uno studio può essere presentato a vari gradi del suo compimento, in una fase più embrionale come anche nel momento in cui i materiali prodotti cominciano a compattarsi nella visione definitiva. E’ necessaria dunque una grande elasticità di sguardo e di giudizio e talvolta, anche in queste condizioni quel che si vede è ancora ad un livello troppo acerbo perché una analisi possa essere composta. E’ il caso, ad esempio del lavoro di Alessandra Giambartolomei, Julie Accyo, un solo che fa espressamente riferimento al buto, ma che ancora manca di una linea della vita capace di rompere il guscio del corpo, come anche di una riflessione complessa sullo spazio e la visione. Diverso è il discorso per Stato di grazia di Dario D’Amato, presentato con la compagnia C.e.t.e.c.. In questo caso una riflessione sullo spazio e lo sviluppo drammaturgico dello spettacolo sembrano essere ad uno stato avanzato, tuttavia la forma di quest’opera appare più vicina ai climi del teatro amatoriale che notoriamente non è oggetto della critica. Decisamente più interessante è invece il materiale prodotto da Manuela Giovagnetti per questa seconda tappa di ricerca verso Decadi. Qui il fattore tempo gioca un ruolo determinante, infatti i molti spunti distribuiti nella durata del lavoro mancano ancora di legami drammaturgici e ritmici. Per ora Decadi si presenta come una sequenza di piani staccati, ognuno dei quali ha un nucleo interessante da sviluppare e da mettere in collegamento col resto del discorso. Ed è anche l’eterogeneità dei linguaggi fin qui esplorati a rivelarsi come una sfida accattivante per la prosecuzione della ricerca. Il primo passaggio, più marcatamente teatrale e narrativo, rivela la sua distanza col resto dell’opera anche soltanto per collocazione spaziale. E’ infatti in platea che comincia a delinearsi il quadro di una relazione vissuta in un tempo di lontananze. L’altrove in cui siedono gli spettatori è lo spazio del maschile, del narratore, che detta il punto di vista e poi apre il sipario come fosse uno spazio del desiderio. Qui la donna dei frammenti letterari prende corpo in scene il cui nucleo è già chiaro pur mancando ancora del tessuto connettivo. Evidente, a questo punto del percorso è il valore potenziale degli schizzi e la dedizione con cui l’autrice vi si confronta quotidianamente affondando profondamente nei temi strutturali di ogni spunto. |