Anno 0 Numero 03 Del 23 - 5 - 2007
Intern(at)o intimo
Carlotta Piraino sulle tracce di una identità inghiottita dai manicomi

Mariateresa Surianello
 

«Si è spento il sole, nel mio cuore, per te...», un melanconico e struggente Adriano Celentano prepara l’apparizione di Carlotta Piraino sulla scena del Palladium. Siamo negli anni Sessanta, che per Lia Traverso hanno ben poco di magnifico, perché nel 1963, per questa giovane donna inizia il calvario manicomiale e la sua lotta per la sopravvivenza nei luoghi di esclusione, in cui sarà costretta a consumare tutta la sua breve esistenza. Di questa esperienza dolorosa è la stessa protagonista a darne conto nei suoi diari (in gran parte perduti), dai quali la Piraino ha attinto parole e pensieri di questo suo spettacolo delicato e durissimo nella ricostruzione di emozioni e sentimenti umanissimi, sviluppati in condizioni di vita disumane, quelle dettate dalle regole coercitive di un’istituzione totale, prima del 1978, anno dell’entrata in vigore della Legge Basaglia, che pure ha trovato difficile applicazione, lasciando molte isole di sofferenza ed emarginazione tra le persone – pazienti e famiglie – che vivono quotidianamente il disagio mentale.

Nato nell’ambito di un laboratorio universitario, condotto da Ascanio Celestini nel 2004 (quando lavorava a La pecora nera), Carlotta Piraino ha basato I quaderni di Lia Traverso sul libro edito da Sensibili alle foglie D’ogni dove chiusa si sta male. Opera questa dal titolo eloquente che rientra nell’impegno della cooperativa editrice romana a dare voce a esperienze soggettive estreme, tentando di sollecitare il confronto e alimentando la conoscenza di certe tematiche difficili e molto scomode. E della metà degli anni Novanta è anche Mi viense allora uno sperimento che pubblica l’autobiografia di Primo Vanni, un prezioso volume (che apre scenari essenziali quanto la Storia della follia nell’età classica di Michel Foucault), a cura di Renato Curcio, che procede tra testo scritto e piccoli disegni, quando questo contadino semianalfabeta della campagna fiorentina non riesce con le parole a esprimere la mancanza e il dolore della sua segregazione psichiatrica.

Anche Lia Traverso utilizza le stesse modalità espressive per testimoniare il suo “soggiorno” a Santa Maria della Pietà. Solo dodici giorni ella racconta, a partire dal primo gennaio 1970, quando lì viene trasferita, proveniente da Santa Maria Immacolata di Guidonia. Spogliata di tutte le sue cose (abiti, piccoli oggetti, orologio...) e indossata la tunica incolore del manicomio romano, Lia trova nella scrittura una risorsa per restare in vita, in un quotidiano che induce alla perdita di identità, fino alla domanda «insistente – dice Nicola Valentino, curatore del volume – che percorre il suo diario» se sia possibile una vita da internata o se invece sia preferibile la morte. Tra disegni e scarabocchi, una Lia “spaventata” prende forma sul palcoscenico, attraverso il corpo di Carlotta Piraino, che resta su una sedia posta a ridosso del boccascena. Una lieve modulazione della voce differenzia i due livelli del racconto, quando Lia parla in prima persona è squillante, quasi un falsetto, mentre quando la parola passa alla narratrice il tono diventa un poco più grave. Ne esce un mondo segreto e pieno di paure, ma anche di speranze, come quando Lia si fa portatrice di una necessità minima collettiva con la “battaglia dei coltelli”, e finalmente le internate potranno mangiare usando coltello e forchetta!

Per la giovane interprete e autrice del testo è una buona prova d’attrice, ma quello che emerge è il suo impegno nel sollevare una questione tuttora aperta, tornata - negli ultimi anni col governo delle destre - oggetto di pericolosi tentativi di revisione. Una tensione genuina verso Lia Traverso e tutte le donne (e gli uomini) che hanno cercato (e troppo spesso cercano ancora oggi) disperatamente di attaccarsi alla vita in condizioni estreme di disagio. Sono quelle donne e quegli uomini che - come Lia – non riescono a trovare un posto fuori e si auto-escludono in un dentro, oggi diffuso e non solo rappresentato dalle sbarre dei manicomi. Mentre, nel buio, ora ancora più atroci, tornano le note di Si è spento il sole